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Responsabilità medici e operatori sanitari con l’introduzione dello scudo penale

Responsabilità medici e operatori sanitari

Protezione più ampia per i medici e gli operatori della sanità per i fatti commessi durante l’emergenza epidemiologica. Rispetto al Decreto legge 44/2021, la legge di conversione contiene un elemento di novità e prevede la responsabilità penale in caso di morte o lesioni personali che si siano verificate, in ambito sanitario, durante lo stato di emergenza.

 

La legge di conversione del Decreto legge 44 del 2021 ha introdotto una protezione più ampia per i medici e gli operatori sanitari per i fatti commessi durante l’emergenza epidemiologica da Covid-19.

Il decreto legge originario ha deluso le aspettative di molti, in quanto non ha introdotto una tutela particolarmente ampia, attesa la previsione di esclusione della punibilità (a titolo di omicidio colposo o di lesioni personali colpose) delle somministrazioni vaccinali in ipotesi in cui la responsabilità penale sembrerebbe già di per sé esclusa.

A ben vedere, infatti, il presupposto per invocare l’esclusione di responsabilità penale è che le vaccinazioni siano effettuate in conformità alle indicazioni contenute nell’AIC, ovverosia il provvedimento di Autorizzazione all’Immissione in Commercio rilasciato dall’AIFA, e alle circolari relative all’attività di vaccinazione pubblicate sul sito del Ministero della salute. Nessuna distinzione vien fatta tra colpa grave e colpa lieve, in quanto viene stabilito che il rispetto delle indicazioni da parte del personale è sufficiente ad escludere la responsabilità penale, a prescindere dal grado della colpa. Tale norma non si pone in contrasto con il sistema vigente in materia di responsabilità medica il cui assetto resta immutato e, di fatto, nulla aggiunge. La legge 24/2017, infatti, è adeguata a proteggere l’operato dei professionisti sanitari, in quanto non si considera responsabile chi abbia tenuto un comportamento corretto e diligente in attuazione delle linee guida e buone pratiche assistenziali.

La legge di conversione, tuttavia, contiene un elemento di novità e prevede la responsabilità penale in caso di morte o lesioni personali che si siano verificate, in ambito sanitario, durante lo stato di emergenza epidemiologica.

Ed infatti, l’art. 3-bis, aggiunto dalla legge di conversione, prevede che “Durante lo stato di emergenza epidemiologica da Covid-19, dichiarato con delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, e successive proroghe, i fatti di cui agli articoli 589 e 590 del Codice penale, commessi nell’esercizio di una professione sanitaria e che trovano causa nella situazione di emergenza, sono punibili solo nei casi di colpa grave”.

Tale previsione implica che nel corso del periodo emergenziale, tutti gli esercenti una professione sanitaria possano rispondere dei fatti di cui agli articoli 589 e 590 del Codice penale e che trovano causa nella situazione di emergenza solo in ipotesi di colpa grave.

Il secondo comma, invece, prevede che “Ai fini della valutazione del grado della colpa, il giudice tiene conto, tra i fattori che ne possono escludere la gravità, della limitatezza delle conoscenze scientifiche al momento del fatto sulle patologie da SARS-CoV-2 e sulle terapie appropriate, nonché della scarsità delle risorse umane e materiali concretamente disponibili in relazione al numero dei casi da trattare, oltre che del minor grado di esperienza e conoscenze tecniche possedute dal personale non specializzato impiegato per far fronte all’emergenza”.

La nuova norma ha il pregio di aver fornito precisi indici per escludere la colpa grave, ogni qualvolta la condotta del professionista sia stata influenzata da particolari ed eccezionali fattori critici correlati alla crisi pandemica.

Trattasi, per entrambe, di norme penali in bonam partem – temporanee e accomunate dalla logica emergenziale – che potranno trovare applicazione retroattiva ai sensi e per gli effetti degli artt. 3 Cost. e 2, comma 4, del Codice penale, anche rispetto a fatti di reato commessi sempre nel periodo emergenziale (compresi tra il 31 gennaio 2020 e – attualmente – al 31 dicembre 2021), prima dell’entrata in vigore del d.l. 44/2021 e della legge di conversione n. 71/2021.

Il fatto contestato deve essere stato commesso nell’esercizio di una professione sanitaria, ovverosia quando la prestazione ha avuto finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale. In altre parole, si tratta delle finalità che caratterizzano la professione sanitaria, espressamente menzionate dall’art. 5, comma 1 della legge 24/2017 (c.d. legge Gelli) nella prospettiva di responsabilità penale.

In ogni caso, l’introduzione nei termini anzidetti dello scudo penale per il personale sanitario si rivela illusoria perché, di fatto, l’esclusione della punibilità non impedisce l’avvio di un procedimento penale. Peraltro, tale scudo si limita a proteggere il personale sanitario dalla responsabilità penale ma non da quella civile che non viene affatto contemplata.

 

Definizione orientativa sulla colpa grave

 

La legge non contiene una definizione della colpa grave: vengono indicati solamente alcuni fattori che si atteggiano come dati valutativi.

Come anticipato, tre sono fattori che possono escludere la colpa grave:

  • Limitatezza delle conoscenze scientifiche al momento del fatto sulle patologie da SARS-CoV-2 e sulle terapie appropriate;
  • Scarsità delle risorse umane e materiali concretamente disponibili in relazione al numero dei casi da trattare;
  • Minor grado di esperienza e conoscenze tecniche possedute dal personale non specializzato impiegato per far fronte all’emergenza.

La limitazione della responsabilità sanitaria sembra allineata ai princìpi sanciti dall’articolo 2236 del Codice civile, secondo il quale il professionista risponde solo per dolo o colpa grave quando il caso implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà.

Nonostante si tratti di una norma civilistica, la giurisprudenza è concorde nel ritenerla direttamente applicabile all’ambito penale anche in tutte le situazioni in cui il medico si trovi a operare in quella situazione di emergenza (Cassazione penale 24528/2014).

Senza tralasciare che i profili di responsabilità civile si prospettano più ampi rispetto a quelli penali anche perché la valutazione del nesso di causalità, nell’ambito di un giudizio civile, prevede un accertamento più “mite” rispetto al principio oltre il ragionevole dubbio, vigente in ambito penale.

Di recente, però, la Corte di Cassazione si è nuovamente soffermata sulla questione della colpa medica nel ribadire gli aspetti che devono essere vagliati dal giudice nella determinazione del grado della colpa.

In particolare, nel caso di divergenza tra la condotta effettivamente tenuta e quella che era da attendersi in base alla norma cautelare da osservare, è stato sottolineato che possono venire in rilievo, nel determinare la misura del rimprovero, sia le specifiche condizioni del soggetto agente ed il suo grado specializzazione, sia la situazione ambientale, di particolare difficoltà, in cui il professionista si è trovato ad operare.

Il giudice di merito deve procedere ad una valutazione complessiva di tali indicatori – come pure di altri, quali l’accuratezza nell’effettuazione del gesto medico, le eventuali ragioni di urgenza, l’oscurità del quadro patologico, la difficoltà di cogliere e legare le informazioni cliniche, il grado di atipicità o novità della situazione data e così di seguito – al fine di esprimere la conclusiva valutazione sul grado della colpa, ponendo in bilanciamento fattori anche di segno contrario, che ben possono coesistere nell’ambito della fattispecie esaminata, non dissimilmente da quanto avviene in tema di concorso di circostanze.

La colpa grave si configura “solo quando si sia in presenza di una deviazione ragguardevole rispetto all’agire appropriato, rispetto al parametro dato dal complesso delle raccomandazioni contenute nelle linee guida di riferimento”. Pertanto, il gesto tecnico deve risultare “marcatamente distante dalle necessità di adeguamento alle peculiarità della malattia ed alle condizioni del paziente”. Infine, “quanto più la vicenda risulti problematica, oscura, equivoca o segnata dall’impellenza, tanto maggiore dovrà essere la propensione a considerare lieve l’addebito nei confronti del professionista che, pur essendosi uniformato ad una accreditata direttiva, non sia stato in grado di produrre un trattamento adeguato e abbia determinato, anzi, la negativa evoluzione della patologia”.

 

Di Avv. Giuseppe De Marco, Dott.ssa Giovanna Michienzi – LegalSanità

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