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PATTI PARASOCIALI: CONTENUTO E RIMEDI IN CASO DI INADEMPIMENTO

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Nella vicenda societaria, unitamente all’atto costitutivo e allo statuto, la cui presenza è imprescindibile per la venuta ad esistenza dell’ente, possono trovare dimora i patti parasociali, strumenti contrattuali collegati alla vita e alla gestione della società, a volte rivolti alla tutela dei soci, altre volte alla compagine societaria.

Seppur con il D. Lgs. 6/2003 “Riforma delle società” sia stata introdotta una sezione specificamente dedicata, “Dei patti parasociali”, la stessa consta di due sole norme, indice del fatto che la disciplina non è (e non potrà considerarsi) esaustiva; a soccombere a questa lacuna non potranno che intervenire, quindi, gli interpreti del diritto con l’applicazione anche dei principi generali.

La forma e la disciplina sottostanti ai patti parasociali sono già state esposte in un articolo precedente, oggi l’attenzione si sposta sul contenuto e sugli scenari che possono verificarsi in caso di inadempimento.

 

Il contenuto atipico dei patti parasociali

 

Il Codice civile prevede tre tipi di patti parasociali:

  • i sindacati di voto;
  • i sindacati di blocco;
  • i sindacati di controllo.

 

Sarebbe possibile prevedere dei patti parasociali con un contenuto diverso da quello previsto dalla disciplina codicistica?

La risposta non può che essere affermativa: la norma non vuole limitare i patti parasociali, ma piuttosto di dare una (seppur scarna) disciplina ad alcuni di essi; non si ravvede, pertanto, alcun intento legislativo nel voler escludere patti parasociali dal contenuto diverso.

E, d’altronde, non potrebbe essere altrimenti anche in virtù del principio dell’autonomia negoziale (art. 1322 del Codice civile). Saranno ammessi tutti i patti parasociali diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico. La conseguenza è che saranno considerati nulli quei patti parasociali contrari a norme imperative, o comunque volti ad eludere divieti normativi, o che perseguano interessi antisocietari.

Alcuni esempi:

  • Sono stati considerati nulli “i patti parasociali che prevedano l’esclusione totale di un socio o di alcuni soci dalla partecipazione al rischio d’impresa e agli utili della stessa”, poiché tali patti mirano a violare il divieto del patto leonino di cui all’art. 2265 del Codice civile.
  • Così come è stato statuito che il patto parasociale “che impegna i soci a votare in assemblea contro l’eventuale proposta di intraprendere l’azione di responsabilità sociale nei confronti degli amministratori, non è contrario all’ordine pubblico, ma agli art. 2392 e 2393 del Codice civile, i quali non pongono principi aventi tale carattere, ma sono norme imperative inderogabili, con conseguente nullità del patto”.
  • Di contro, la giurisprudenza ha stabilito che è valido il patto parasociale “comportante l’obbligo di votare in assemblea conformemente alle decisioni prese a maggioranza (per teste) dei partecipanti all’accordo prima della delibera assembleare”.

 

Inadempimento dei patti parasociali e rimedi

 

I patti parasociali, in quanto contratti, creano obblighi solo ed esclusivamente tra i contraenti, e non certo nei confronti dei terzi che dal patto sono esclusi (con ciò intendendosi anche lo stesso ente societario).

Dall’efficacia relativa del patto ne deriva che l’inadempimento dello stesso (ad esempio l’inadempimento di un sindacato di voto espresso in assemblea in violazione di quanto stabilito nel patto) non determinerà alcuna conseguenza sulla delibera assembleare adottata, che resterà valida ed efficace; determinerà, invece, la responsabilità contrattuale del socio che abbia votato in maniera diversa rispetto a quanto pattuito nel patto parasociale.

Alle medesime conclusioni si arriva nel caso in cui sia violato un sindacato di blocco con il trasferimento della partecipazione societaria: tale inadempimento non determinerà l’inefficacia del trasferimento ma solamente una responsabilità in capo all’inadempiente.

A questo punto, l’unico rimedio possibile è il risarcimento del danno, peraltro di difficile dimostrazione perché in realtà quasi mai si tratta di un danno diretto nei confronti del singolo soggetto.

Molte volte, quindi, al fine di scongiurare un inadempimento, si prevede l’inserimento nel patto parasociale di una clausola penale. Questa previsione ha due vantaggi: da un lato dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) scoraggiare i contraenti dal non rispettare il patto e, dall’altro, in caso di inadempimento, il creditore non sarà tenuto a provare il danno.

Lo svantaggio, però, è che – per espressa disposizione legislativa – la penale potrà essere ridotta da parte del giudice quando il suo ammontare risulti manifestamente eccessivo avuto riguardo all’interesse che il creditore aveva all’adempimento.

Resta certamente aperto il problema relativo ai criteri che devono essere utilizzati dal Giudice per stabilire se l’ammontare della penale convenuta in un patto parasociale sia manifestamente eccessivo, e sul punto si ritrova una indicazione di massima della Suprema Corte in cui stabilisce che “il giudice, nel valutare l’interesse del creditore all’adempimento, deve considerare i fatti occorsi e i comportamenti tenuti durante il rapporto parasociale”.

Al fine di evitare la difficile dimostrazione probatoria del danno, bisognerebbe specificare nel patto che le parti ritengono congrua la cifra della penale prefissata oppure specificare se la penale vale per qualsiasi violazione al patto o solo per alcune, ma in quest’ultimo caso il socio paciscente potrebbe volontariamente non adempiere al patto per liberarsi dallo stesso a fronte della corresponsione della penale magari di irrisorio importo.

Si precisa che la Giurisprudenza ritiene, attesa la funzione risarcitoria della clausola penale, che la stessa non può trovare applicazione “nell’ipotesi in cui i lamentati inadempimenti del paciscente attengano a obblighi gravanti sullo stesso in qualità di amministratore e non di socio. Cosicché tali obblighi non possono neanche essere inseriti all’interno del patto parasociale, il quale è destinato a regolare i rapporti tra i soci e non può contenere obblighi relativi all’attività gestoria”.

Con riferimento ai rimedi giudiziali, uno strumento efficace volto non a “riparare” le conseguenze dannose di un inadempimento del patto ma a scongiurare l’inadempimento stesso è stato riconosciuto al ricorso d’urgenza ex art. 700 c.p.c. (in presenza dei presupposti richiesti dalla legge, ossia il fumus boni iuris e il periculum in mora). Mentre il riconoscimento di tale strumento è pacifico quando si tratti del pericolo di inadempimento di sindacati di blocco, perché in tal modo si impedisce il trasferimento delle partecipazioni in violazione del patto, si discute della possibilità di utilizzare tale strumento per la temuta violazione dei patti parasociali riguardanti i sindacati di voto (e questo per l’incoercibilità di un facere infungibile). Sul punto, però, un’apertura arriva dal Tribunale di Milano che ha stabilito che “è legittimo il ricorso ai provvedimenti d’urgenza di cui all’art. 700 c.p.c. per ottenere – in adempimento a un patto parasociale – l’ordine del giudice diretto ad alcuni soci aderenti al patto di votare nell’assemblea della società in conformità agli obblighi assunti”.

 

di Avv.ti Andrea Dolcetta e Elisa Visintin; Studio legale Dolcetta

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