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LE PAROLE DI DAS: BUON PADRE DI FAMIGLIA

buon padre di famiglia

Sempre più spesso, nel linguaggio corrente, sia mediato che istituzionale, ricorre l’espressione “buon padre di famiglia” per intendere il comportamento diligente di una persona responsabile che ha cura di sé, dei propri figli così come dell’interesse collettivo.

Questa metafora, che si è trasformata nel corso dei secoli in uno stereotipo (e, forse, in una retorica), ha anche una precisa valenza giuridica e la sua origine si perde nell’antichità, agli albori della storia dell’Impero Romano. Il nostro Codice Civile, che trae origine da quella tradizione culturale, richiama più volte il concetto di “buon padre di famiglia” senza, però, mai definirlo o individuarlo. L’espressione, ricorre, ad esempio, per richiamare la condotta del depositario, del mandatario, del comodatario, del conduttore, del debitore nell’adempimento delle loro rispettive obbligazioni contrattuali. Si evoca un concetto di diligenza media, non qualificata, nel gestire, con prudenza e perizia, ogni rapporto contrattuale fonte di responsabilità. Il “padre di famiglia” risponde, nell’accezione del Codice Civile, per “colpa lieve” qualora avesse mancato di ottemperare, con buon senso, alle proprie azioni.

Sorprenderà, allora, scoprire che questo “mito” di uomo medio e moderatamente responsabile − che racchiude in sé uno spettro di valori positivi largamente condivisi e che guida alla prudenza nell’agire − non corrisponde affatto al “pater familias” del tempo dei romani il quale era tutt’altro che “bonus et diligens”.

Nel diritto romano, soprattutto quello imperiale pre-giustinianeo, vigeva un’idea molto poco democratica di “padre di famiglia” il quale era diligente in quanto deteneva il potere assoluto su tutte le persone e le cose che facevano parte del suo casato: poteva decidere della loro vita, condannarle a morte, venderle, e così via. Il modello corrispondente era quello dell’uomo romano “sui iuris” ossia emancipato, cittadino, non adottato, abile alle armi, che non aveva più nessun ascendente maschile in linea retta. Egli deteneva la “patria potestas” sui figli e sui nipoti, la “manus maritalis” sulla moglie e sulle nuore, la “dominica potestas” sui beni fondiari, sul “peculio”, sugli schiavi e, in generale, il potere di disporre dell’intero patrimonio per atto tra vivi o per legato ereditario. Soltanto con la “conventio in manum” era concessa la possibilità alla figlia di sottrarsi alla potestà paterna, ma solo perché, a seguito di matrimonio, la donna sarebbe stata sottoposta alla nuova potestà della famiglia di cui veniva ad essere parte.

Questo spiega perché altri ordinamenti giuridici diversi dal nostro abbiano preferito sostituire tale locuzione con una nuova espressione: la Francia illuminista post rivoluzionaria parla di “persona ragionevole”, mentre il common law inglese evoca la figura “dell’uomo sull’autobus” per identificare il cittadino medio, mediamente responsabile e mediamente competente. Alcune associazioni per la valorizzazione dei diritti civili hanno proposto di sostituire, anche nel nostro paese, questa espressione in quanto anacronistica rispetto ai tempi odierni e non più consona alle nuove politiche di integrazione e tutela del genere. Forse, ciò sarebbe auspicabile considerato anche il fatto che la realtà fotografata dall’ultimo report Istat su natalità e fecondità della popolazione residente in Italia ci restituisce un’immagine ben lontana da quella evocata dal diritto romano: nel 2017, sono nati il 21% in meno di bambini rispetto al 2008; di questi, più del 25% sono nati fuori dal matrimonio; solo un padre su cinque sceglie di occuparsi dell’educazione dei figli; la cura dei figli è a carico esclusivo delle donne (97%) e la violenza domestica, nella quasi totalità dei casi, è perpetrata per mano del “pater familias”.

(Fonte: “La retorica del buon padre di famiglia”, Gaetano Moraca, giornalista, digital content editor).

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