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La tutela della casalinga

Tutela casalinga

Il ruolo della casalinga ha conosciuto una lunga parabola evolutiva che, dai primi anni sessanta ad oggi, ha portato al riconoscimento dell’attività svolta dalla donna come “lavoro domestico” (sentenza Corte Costituzionale n. 179 del 1976).

In realtà, l’applicazione analogica dell’attività prestata all’interno della comunità familiare (legge n. 339 del 1958) da governanti e cameriere con l’attività della casalinga, è un’operazione critica e dialettica che sta andando oltre il concetto di “genere” e sta assumendo, anche nel dibattito europeo, una dimensione più ampia, fino ad approdare alla nuova frontiera del c.d. “smart working” e dei “congedi parentali”. Si tratta di nuovi istituti, ancora in parte in fase di definizione, che sdoganano la figura della donna dai consueti canoni e cliché e cercano di restituire una parità (appunto, di genere) non ancora del tutto conquistata.

Si sorride all’immagine pubblicitaria di una vecchia réclame dei primi anni ottanta: si trattava di un primo esemplare di computer “portatile”, grande come un forno elettrico, costruito ancora con diodi e relè. Lo stereotipo era quello dell’uomo capo famiglia che, sorridente, dopo aver cenato, lavorava sul tavolo da cucina ancora imbandito con le vettovaglie. Lavorava “al computer”, le pantofole ai piedi, la vestaglia da camera con passamaneria in gros grain, mentre la moglie, altrettanto felice, con il grembiule in pizzo, lo guardava estasiata mentre, al tinello, lavava i piatti e riassettava.

In quell’affresco innocente, erano concentrati tutti quei pregiudizi e luoghi comuni, che hanno penalizzato, per anni, la condizione della donna. Ciò, specie nel caso in cui – di fronte all’alternativa tra cura dei figli e carriera professionale – non le è stata data la possibilità di scelta né di conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro.

Lo svolgimento dell’attività lavorativa all’interno esclusivo della comunità familiare ha, troppo a lungo, esiliato la donna in un “non luogo”, un cono d’ombra, cui, solo recentemente, il legislatore ha dato visibilità normativa con nuovi istituti quali l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni domestici e la contribuzione previdenziale volontaria. La giurisprudenza ha, recentemente, riconosciuto il valore economico dell’attività svolta in ambito domestico, cercando di quantificarla con i parametri più moderni del “loss of income” (così nella giurisprudenza anglosassone): il danno, anche esistenziale, che si riverbera in famiglia a causa di un incidente, che abbia costretto ad infermità la donna madre e lavoratrice. In questo caso, una copertura assicurativa di tutela legale, in un caso di incidente stradale che vede coinvolta una casalinga, potrebbe risultare particolarmente utile.

Le politiche di genere hanno spesso sofferto di un’impostazione paternalistica che, anziché far leva sul welfare e sui diritti sociali, hanno preferito demandare alle “quote” e alle “riserve di legge” un afflato di tutela, che avrebbe dovuto essere realizzato con strumenti giuridici più efficaci quali la concertazione e la parità sostanziale.

In questo contesto, la nuova polizza “DAS in Famiglia”, tutela la famiglia, gli spazi in cui si svolge l’attività domestica e la vita di relazione, offrendo una copertura per tutte le esigenze legate alla quotidianità. Una polizza non supera da sola barriere e pregiudizi, non emancipa e non contribuisce a battaglie sociali, ma rende più serena e tranquilla la vita di quante (quanti) hanno scelto di mettere a disposizione le proprie qualità personali e le attitudini professionali a servizio dell’attività domestica.

Infine, non si può non rilevare la sorprendente attualità – e, in parte, anche la parziale rinuncia politica – della pronuncia della Consulta che, ancora nel 1976, scriveva che “non è solo il marito a disporre del reddito (in una famiglia), ma entrambi i coniugi” e invitava il legislatore ad attuare un sistema tributario “che agevoli e favorisca la formazione e lo sviluppo della famiglia e consideri la posizione della donna casalinga e lavoratrice”.

DASy

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