Dal punto di vista informatico, il database costituisce un insieme di dati organizzato da un sistema di gestione accentrato. Per quel che concerne il profilo giuridico, si tratta pur sempre di un insieme organizzato di dati che è definito come bene giuridico immateriale, oggetto di una duplice tutela, come sarà illustrato.
Le caratteristiche peculiari sono ampia capienza, condivisibilità e persistenza; una banca dati è:
- grande, perché in generale ha una dimensione tale da contenere un numero considerevole di dati;
- condivisa, perché accessibile attraverso molteplici applicazioni e utenti;
- persistente, perché dotata di un ciclo di vita indipendente da quello dei programmi che la utilizzano.
Il commento si pone quale obiettivo quello di analizzare la nozione della banca dati – specie con riferimento all’evoluzione della giurisprudenza comunitaria – per permetterci di riflettere, in un prossimo contenuto, sulla possibilità e sui presupposti della rivalutazione delle stesse nel bilancio delle società.
Cosa intende la legge per “Database”?
Le banche dati sono tutelate dalla legge n. 633 del 22 aprile 1941 (“Legge sul diritto d’Autore”) sia come opere dell’ingegno a carattere creativo, frutto del lavoro intellettuale dell’uomo, sia come beni privi del carattere della innovatività, paragonabili in quanto tali agli archivi fisici.
L’articolo 2, comma 1, n. 9) della legge poc’anzi menzionata definisce le banche dati quali “raccolte di opere, dati o altri elementi indipendenti sistematicamente o metodicamente disposti ed individualmente accessibili mediante mezzi elettronici o in altro modo. La tutela delle banche dati non si estende al loro contenuto e lascia impregiudicati diritti esistenti su tale contenuto”. Dunque, esse rientrano, a pieno titolo, nel novero delle opere d’ingegno, in quanto beni giuridici di origine immateriale, costituendo oggetto di una tutela diversificata, a seconda della ricorrenza o meno del requisito della “creatività” del loro contenuto. A conferma di tale impostazione, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (in seguito anche “CGUE”) ha puntualizzato in un recente arresto che si applica la tutela prevista dalla Legge sul diritto d’Autore (artt. 1 e 2, n. 9), “se la scelta o la disposizione del contenuto costituisce una creazione intellettuale”. Qualora, invece, la scelta o la disposizione dei dati in essa contenuti discendano da considerazioni di carattere tecnico non può invocarsi il rispetto delle stesse disposizioni, bensì la tutela apprestata dall’art.102 bis della legge in esame, che riconosce una sorta di diritto “sui generis” al costitutore di una banca di dati – inteso come colui che effettua investimenti rilevanti per la sua costituzione, verifica o presentazione, impegnando, a tal fine, mezzi finanziari, tempo o lavoro – precisando che l’investimento “rilevante” è inteso come insieme dei mezzi utilizzati per la ricerca di elementi indipendenti e per la loro riunione nel database, da cui vanno comunque esclusi i mezzi istituiti per la creazione stessa dei dati. A onor del vero, occorre precisare altresì che la disciplina delle banche dati può essere assimilata a quella delle opere collettive; d’altronde, l’attenzione dell’Unione Europea nei riguardi delle produzioni dell’ingegno è sempre stata particolarmente significativa.
La Direttiva Database
La nozione di database non può certamente prescindere dalla prospettiva delineata in sede comunitaria. La Direttiva n. 96/9/EC la definisce “una raccolta di opere, dati o altri elementi indipendenti sistematicamente o metodicamente disposti ed individualmente accessibili grazie a mezzi elettronici o in altro modo” (art. 1. n. 2) e prevede la tutela giuridica delle stesse banche dati quando, “per la scelta o la disposizione del materiale costituiscono una creazione dell’ingegno propria del loro autore”(art. 3).
L’estensione di tale forma di tutela è determinata dal medesimo art. 3, a mente del quale “La tutela delle banche dati in base al diritto di autore […] non si estende al loro contenuto e lascia impregiudicati i diritti esistenti su tale contenuto”. Questo induce a ritenere che la tutela in parola è accordata ai criteri che sono alla base del suo funzionamento: ad es. modalità di accesso e di ricerca. Il testo della Direttiva si snoda attraverso la disamina della disciplina afferente alla protezione delle banche dati intese come creazione dell’ingegno propria del loro autore oltre che di quelle prive di carattere creativo, oggetto della tutela “sui generis”, riferibile, come detto, dal punto di vista soggettivo, al “costitutore di una banca dati”.
“estrazione” e “reimpiego” del contenuto di un database
Proprio in relazione alla tutela “sui generis”, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è recentemente pronunciata in via pregiudiziale. La sentenza in questione si è occupata dell’interpretazione dell’art. 7, paragrafi 1 e 2 della Direttiva, in riferimento ad una controversia sorta in Lettonia tra due soggetti operanti nello stesso ambito – quello degli annunci di lavoro online – ove il sito internet dell’uno – parte convenuta nel giudizio principale – consentiva di effettuare una ricerca di annunci apparsi su diversi siti, tra i quali quello della società, parte attrice e titolare di una banca dati da essa creata e regolarmente aggiornata. Tale banca dati era costituita da annunci di lavoro e l’accesso alla stessa veniva consentito da un sito internet dotato di “meta-tag” (strumenti informatici idonei ad indicizzare correttamente il contenuto dei motori di ricerca). Gli stessi “meta-tag”, tuttavia, venivano sfruttati anche dalla società convenuta in giudizio, accusata di aver violato il diritto “sui generis” di cui all’art. 7 della Direttiva in esame. Pertanto la Corte regionale di Riga sollevava due questioni pregiudiziali – esaminate poi congiuntamente dalla CGUE – relative all’eventualità che “un motore di ricerca su Internet specializzato nella ricerca del contenuto di banche dati, che copia e indicizza la totalità o una parte sostanziale di una banca dati liberamente accessibile su Internet e poi consente ai suoi utenti di ricercare tale banca dati sul proprio sito web secondo criteri pertinenti al suo contenuto, costituisca un’“estrazione” e un “reimpiego” del contenuto di tale banca dati ai sensi di tale disposizione, e che il costitutore di una tale banca dati abbia il diritto di vietare tale estrazione o reimpiego della stessa banca dati.”
I giudici di Lussemburgo hanno, in primo luogo, sottolineato la ratio della tutela del diritto “sui generis” secondo la Direttiva Database, ovvero quella di proteggere l’investimento fatto “per costituire, verificare o presentare il contenuto di una banca di dati per la durata limitata del diritto, concedendo al costitutore di una banca di dati la facoltà di impedire l’estrazione e/o il reimpiego non autorizzati di tutto o di una parte sostanziale del contenuto di tale banca di dati” (cfr. considerando 40 e 41 della Direttiva). Secondariamente, la Corte ha ribadito il concetto per cui la condizione per l’applicazione della tutela “sui generis” alle banche di dati è la prova dell’esistenza di “un investimento qualitativamente e/o quantitativamente sostanziale per il conseguimento, la verifica o la presentazione del contenuto”, ai sensi dell’art. 7 della Direttiva. I giudici hanno altresì rimarcato che uno degli scopi principali della normativa in questione è quello di trovare un equilibrio tra gli interessi contrastanti del creatore della banca dati e quelli dei terzi, compresi i concorrenti che desiderino utilizzare legittimamente una parte dei dati contenuti in un determinato database. Specificatamente, la CGUE ha messo in risalto il ruolo pro-concorrenziale dei cosiddetti aggregatori di contenuti Internet stabilendo che essi “non solo permettono di strutturare meglio l’informazione su Internet e di effettuare ricerche in modo più efficiente, ma contribuiscono anche al buon funzionamento della concorrenza e alla trasparenza delle offerte e dei prezzi.” Pertanto, il parametro da impiegare per bilanciare gli interessi in conflitto è il danno potenziale all’investimento sostanziale fatto dal creatore della banca dati, ovvero il rischio che il creatore non abbia la possibilità di recuperare il proprio investimento a causa dell’estrazione o del reimpiego del contenuto della banca dati, sulla base, dunque, di una valutazione che deve essere condotta caso per caso.
di avv.ti Vincenzo Colarocco e Rossella Bucca; Studio Legale Previti