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STATO DI NECESSITÀ: LE PAROLE DI DAS

stato necessità

Parliamo di “stato di necessità” e vediamo le differenze con la legittima difesa di cui abbiamo scritto in un precedente articolo.

Il nostro ordinamento giuridico contempla la possibilità non solo della legittima difesa, ma anche dello stato di necessità: entrambe le situazioni possono essere considerate delle circostanze di giustificazione di una condotta che da antigiuridica diventa lecita.

Ecco cosa recita il codice penale: “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo”.

Mentre nel caso della legittima difesa si reagisce contro un aggressore che minaccia di offendere un nostro diritto, nel caso dello stato di necessità l’azione difensiva ricade non già sull’aggressore, ma su una situazione pericolosa che non è stata causata volontariamente da colui che invoca lo “stato di necessità”.

In particolare, l’azione giustificata dallo “stato di necessità” non deve tendere a proteggere un qualsiasi diritto come nella legittima difesa, ma deve mirare a scongiurare il pericolo imminente di un danno grave alla persona.

Si possono fare molti esempi, alcuni tratti anche da famosi casi di cronaca. Tizio, per difendersi dalle violenze di Caio, scappa in velocità, sottraendo (rubando) il ciclomotore che è di proprietà di Sempronio. Lo scalatore Mevio fa precipitare il compagno di cordata nel crepaccio perché la corda rischia di spezzarsi e non può reggere il peso di entrambi gli alpinisti.

Anche nello “stato di necessità”, come nella “legittima difesa”, vi è una situazione pericolosa che non deve essere volontariamente causata dalla persona che invoca lo stato di necessità: ciò si spiega con il fatto che, nello stato di necessità, si ledono i diritti non di un aggressore (il ladro che mi ha rapinato, esempio), bensì quelli di un terzo incolpevole (il compagno di cordata che, causa difetto della fune, decido di far precipitare nel vuoto per non perire anch’io).

La situazione di pericolo deve, quindi, essere involontaria. In altre parole, il danno derivante dalla condotta necessitata non deve essere la conseguenza di un comportamento colpevole o negligente dell’autore il quale abbia contribuito, più o meno consapevolmente, al suo verificarsi. Ad esempio, il motociclista che sfreccia ad una velocità elevata non potrà giustificarsi dell’investimento di un pedone adducendo, come “stato di necessità”, l’esigenza di evitare un pericoloso schianto contro un muro.

Vi è, poi, un requisito di proporzionalità: il bene minacciato deve prevalere rispetto a quello sacrificato o, almeno, deve essere equivalente. In altre parole, è fondamentale poter fare un esame comparativo dei rischi rispettivamente incombenti sul bene da salvaguardare (vita o salute) e su quello che viene danneggiato (patrimonio o beni materiali).

Per concludere, un’altra importante differenza rispetto alla legittima difesa è quella della responsabilità civile per le conseguenze dell’azione “necessitata” ai sensi dell’art. 2045 cod. civ.: “Quando chi ha compiuto il fatto dannoso vi è stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona e il pericolo non è stato da lui volontariamente causato né era altrimenti evitabile, al danneggiato è dovuta un’indennità, la cui misura è rimessa all’equo apprezzamento del giudice”. A differenza dell’azione commessa in stato di legittima difesa, l’azione “necessitata” arreca pregiudizio ad un soggetto che non è responsabile della situazione di pericolo che si è venuta a creare.

 

Di Walter Brighenti – DAS

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