Abbiamo scritto, più volte, nelle nostre condizioni di assicurazione che, in caso di procedimento penale doloso, la polizza di tutela legale dà copertura con effetto retroattivo solo nel caso in cui la sentenza risulti definitiva (non più appellabile) e abbia accertato, nel merito, l’assoluzione dell’imputato per non aver commesso il fatto ovvero perché il fatto non sussiste (assoluzione c.d. “piena”).
Vediamo, oggi, i casi opposti ossia quando la polizza non opera e per quali ragioni non opera. Iniziamo dal caso principale, quello di cui trattiamo adesso in questo articolo.
Si è detto che, per eventi che derivano dal fatto doloso dell’assicurato, se l’assicurato è indagato o imputato per delitto doloso, la garanzia opera solo se l’assicurato viene assolto o prosciolto con sentenza inappellabile o vi è l’archiviazione per infondatezza della notizia di reato (art. 408 del codice di procedura penale) o derubricazione del reato da doloso a colposo.
L’assoluzione con formula piena si ha normalmente quando ricorrono queste situazioni: “il fatto non sussiste”; “l’imputato non lo ha commesso”; “il fatto non costituisce reato”.
Ma ci sono altri casi (diversi dall’assoluzione) in cui opera una causa di estinzione del reato, ossia è impedita l’applicazione della pena ad un soggetto che ha commesso il reato. È chiaro che, da un punto di vista storico, “il fatto compiuto non può considerarsi come non avvenuto”, ma, da un punto di vista giuridico e processuale, il reato è estinto, estinta è la responsabilità penale, estinti sono anche gli effetti penali e la punibilità. In sintesi, vi è una rinuncia dell’ordinamento giuridico alla pretesa di applicazione della pena.
È indubbio, che la vera e unica causa di estinzione del reato (qui c’è assoluzione con formula piena) è costituita dall’abrogazione della norma penale incriminatrice, che elimina il reato con tutti gli effetti penali cancellandolo dall’ambito del diritto penale: in questi casi, ricorre la formula “il fatto non è previsto dalla legge come reato”.
Una delle cause più eclatanti di estinzione del reato è sicuramente quella della prescrizione (di cui abbiamo già scritto in passato), ma oggi desideriamo parlarvi di un altro istituto, meno noto, che è quello dell’oblazione.
Quando il pagamento estingue il reato: l’oblazione nelle contravvenzioni.
La giustificazione di questo istituto consiste nell’esigenza dell’ordinamento giuridico di concludere rapidamente e in economia i procedimenti penali concernenti reati di modesta gravità, che non suscitano forte allarme sociale.
Nelle contravvenzioni, per le quali la legge prevede la sola pena dell’ammenda, il contravventore è ammesso a pagare (prima dell’apertura del dibattimento ovvero prima della deliberazione del decreto penale di condanna) una somma in denaro corrispondente alla terza parte del massimo della pena stabilita dalla legge per la contravvenzione commessa, oltre le spese del procedimento. Questa modalità di conclusione del procedimento si chiama oblazione e il pagamento della somma estingue il reato.
Oblazione è una causa di estinzione del reato. Tuttavia, non può non rilevarsi che, in questo modo, si assiste alla trasformazione (riduzione) dell’illecito penale in illecito amministrativo pecuniario.
Oblazione è una forma volontaria di esecuzione della pena. Infatti, il contravventore adempie all’obbligo di pagare una somma di denaro (un terzo del massimo dell’ammenda previsto dalla legge) e in questo modo dà esecuzione alla pena.
L’oblazione equivale ad una sorta di depenalizzazione giudiziale in via di fatto.
In alcuni casi, è il giudice stesso che può ammettere il contravventore all’oblazione se non ricorrono alcune ipotesi di esclusione disciplinate dalla legge. Le ipotesi di esclusione dell’oblazione sono: 1) la recidiva reiterata; 2) l’abitualità nelle contravvenzioni; 3) la professionalità nel reato; 4) se permangono le conseguenze dannose del reato; 5) se il giudice ritenga il fatto grave.
di Walter Brighenti – DAS