La Commissione Europea ha proposto al Consiglio e al Parlamento UE l’adozione di un programma per l’attuazione di un nuovo modello di “economia circolare”, progetto già promosso a livello mondiale in seno all’ONU, ma che stenta a decollare in modo definitivo e vincolante. Numerose le resistenze, soprattutto di quei paesi ancora legati ad una economia di tipo “lineare” (tradizionale).
In questo ambito, l’Italia, nonostante ritardi e gap che ne contraddistinguono il territorio, si pone ai primi posti nella circolarità della produzione rispetto alle prime cinque economie europee.
Che cosa significa “economia circolare”?
Non si tratta del solito tema dell’ecologia e della biodiversità, ma di un modello industriale di produzione che, senza rinunciare ai processi di estrazione e di trasformazione delle materie prime, parte dal presupposto che nulla deve essere sprecato e abbandonato come scarto. L’economia circolare è un’economia concepita per rigenerarsi da sola, dove le materie usate non vengono collocate in discarica come rifiuti, ma da ogni risorsa si cerca di trarre il massimo, reimmettendola nel ciclo produttivo per un nuovo impiego.
Si tratta, quindi, di una grande ruota, un cerchio appunto, in cui ogni fase trova il proprio completamento nell’altra, ogni step è la premessa per lo step successivo.
La rivoluzione industriale del Settecento ci ha accompagnati fino al Ventunesimo secolo con un modello di produzione “lineare”: un inizio, una fine, un punto, uno stop, dalla materia al rifiuto, nessuna possibilità di recupero o di riciclo. In un sistema a combustione di massa, questa tipologia di progettazione e produzione comporta un grande consumo e spreco di risorse poiché ogni volta la catena industriale deve ricominciare daccapo.
L’obiettivo dell’economia circolare è quello di cambiare e migliorare il modo in cui produciamo le cose, aumentando il tasso di riciclo delle materie prime e ponendo al centro della filiera produttiva la sostenibilità del sistema. In un “contesto circolare”, non ci sono prodotti di scarto e le materie impiegate vengono costantemente riutilizzate.
In Italia, ad esempio, ogni chilogrammo di materia consumata genera 3 Euro di PIL contro una media europea di 2,24 Euro/kg.
I rifiuti di qualcuno, diventano risorse per qualcun altro.
Come detto, per il momento, sono solo proposte della Commissione Europea, al vaglio del Consiglio e del Parlamento, ma l’obiettivo per il periodo 2025-2030 sarebbe quello:
- del riciclaggio del 70% dei rifiuti urbani;
- del riciclaggio dell’80% degli imballaggi delle merci;
- della creazione di nuovi posti di lavoro; se ne stimano solo in Europa 580.000.
Com’è fatto un prodotto “circolare”?
Si tratta di un interrogativo sbagliato: in un sistema economico circolare, al centro del sistema di produzione non si colloca tanto il prodotto o la proprietà, ma la funzione e l’utilizzo (o riutilizzo) del bene. Un esempio? L’elettrodomestico. Non più elettrodomestici usa e getta come ci siamo abituati a vedere negli ultimi anni, ma beni durevoli riparabili e, al termine del loro ciclo vita, smontabili nelle diverse parti componenti e assemblabili ex novo in nuovi prodotti.
Che cosa provocherebbe l’economia circolare?
- Il risparmio sui costi di produzione: il valore aggiunto in alcuni settori qualificanti per l’economia circolare in Italia è stato nel 2016 di 18.020 miliardi di Euro, l’1,07% del PIL*.
- L’acquisizione per le imprese di un vantaggio competitivo: mediamente, in Italia, un’impresa della riparazione genera un valore annuo di quasi 92.000 Euro.
- Il prolungamento dell’uso produttivo dei materiali e l’aumento della loro efficienza: si stima che l’inquinamento atmosferico abbia un costo economico pari al 3,3% del PIL mondiale*.
- La riduzione dell’inquinamento atmosferico: si stima che l’inquinamento abbia un costo economico pari al 3,3% del PIL mondiale**.
- La cessazione della qualifica di rifiuto (“End of Waste”): la produzione complessiva di rifiuti raggiunge in Italia il valore del 22,7% contro una media europea del 12,8%**.
Come si può ben comprendere, non è solo un tema di uso di energie rinnovabili o di miglioramento dell’efficienza energetica, ma di sviluppo di un’economia capace di sostenere le sfide climatiche, ecologiche e sociali, senza rinunciare ad accrescere la competitività delle imprese.
* Fonte: “Rapporto sull’Economia Circolare in Italia”, 2019, Enea.
** Fonte: “Center for research on energy and clean air”.