Il nuovo valore economico delle informazioni delinea i nuovi confini dell’attuale competizione commerciale, caratterizzata da un contesto economico-sociale sempre più globale risultato della rivoluzione digitale.
Nell’ economia basata su innovazione, velocità, globalizzazione e conoscenza, la materia prima più preziosa di un’organizzazione è il ”capitale intellettuale”: capitale umano, organizzativo e relazionale costituito da conoscenze, dati e informazioni la cui aggregazione, analisi, interpretazione e uso permettono alle aziende di perseguire i propri obiettivi e di produrre valore, costruendo la propria differenziazione sul mercato.
Ma avere la disponibilità di informazioni e non saperle riconoscere, oppure non saperle mettere in relazione, le rende sterili. Le organizzazioni devono progettare e realizzare un processo di digital intelligence per mirare le azioni e misure concrete più adatte per una gestione ottimale dello proprio specifico patrimonio informativo, in un’ottica di pieno sviluppo del suo potenziale.
Il nuovo valore economico dell’informazione
Da anni la tecnologia digitale sta cambiando profondamente la vita delle persone e gli scenari di mercato: dati, piattaforme e connettività sono diventati strumenti chiave per l’ottimizzazione dei processi produttivi, per le relazioni con clienti e fornitori. La trasformazione digitale sta creando anche modelli di sviluppo mai sperimentati prima d’ora: nuovi mercati di sbocco e l’ampliamento di quelli tradizionali, nuovi prodotti e servizi, nuovi processi di produzione e vendita, nuove relazioni nel mondo del lavoro.
Sin dal 2014 la UE ha progettato e perseguito una strategia per la creazione ed espansione di un mercato unico digitale per consentire a cittadini e imprese l’accesso a beni e servizi in tutta Europa, favorire lo sviluppo di reti digitali e servizi innovativi, massimizzare il potenziale dell’economia digitale, all’epoca nascente.
Da allora molto è stato fatto, sia in termini di aggiornamento e uniformazione del diritto sia di sviluppo di infrastruttura (anche se permangono ancora differenze importanti tra gli Stati membri).
Attualmente, l’Europa è il fanalino di coda – dietro USA e Cina – nell’economia digitale, le cui dimensioni globali nel 2019 sono state stimate tra il 4,5 % e il 15,5 % del PIL mondiale (a seconda dei criteri utilizzati per calcolarle), con una tendenza in crescita.
Il motore dell’economia digitale sono i dati, le informazioni: le proiezioni di crescita in Europa prevedono per il 2025 un incremento del volume dei dati trattati del 530% rispetto al 2018 e un accrescimento conseguente del valore di questo mercato dai 301 miliardi di euro del 2018 fino a 829 miliardi di euro.
Ovviamente questo a cascata fa prevedere anche effetti straordinari sull’occupazione nel settore (da 5,7 milioni di operatori professionali nel 2018 a quasi 11 milioni) e importanti effetti sul PIL dei singoli Stati membri.
La strategia europea in materia di digitale oggi è maturata rispetto alla prima fase e mira all’assunzione da parte dell’UE di un ruolo di leadership mondiale di una società basata sui dati che circoleranno liberamente a vantaggio delle imprese, dei consumatori, della ricerca, delle amministrazioni pubbliche e dei cittadini in generale, naturalmente sempre preservando il bene primario dei diritti individuali fondamentali enunciati nella Carta di Nizza.
in quest’ottica si vedono già importanti iniziative sia di tipo legislativo (le proposte di regolamenti Data Governance Act, Digital Services e Digital Markets Act) sia in termini di infrastruttura (il completamento del 5G, la creazione del cloud EU, l’interoperabilità dei sistemi digitali).
Il patrimonio informativo aziendale come chiave del vantaggio competitivo
È evidente quindi come in questo tipo di economia, basata su innovazione, velocità, globalizzazione e conoscenza, il sapere, il ”capitale intellettuale”, sia diventato la materia prima più preziosa di un’organizzazione (prima ancora degli asset materiali e del capitale finanziario): un capitale umano, organizzativo e relazionale costituito da conoscenze, dati e informazioni la cui aggregazione, analisi e interpretazione permettono alle aziende di perseguire i propri obiettivi e di produrre valore, costruendo la loro differenziazione sul mercato.
Naturalmente il patrimonio informativo aziendale è un coacervo di categorie di informazioni assolutamente eterogenee: quando si parla di patrimonio informativo aziendale non bisogna pensare solo a dati espliciti, quindi alle informazioni strutturate (ad esempio, in database) o perlomeno formalizzate (in documenti e nei sistemi informativi: procedure, policy, contratti, piani, progetti…; informazioni nella posta elettronica, ma anche software e configurazioni …), cioè informazioni facilmente individuabili perché contenute in un supporto, fisico o digitale che sia (che comunque va individuato).
Ma dobbiamo pensare anche alle conoscenze implicite, non strutturate né in alcun modo formalizzate, che spesso non sono neppure visibili all’organizzazione: un esempio sono le competenze e l’esperienza specifica acquisite dai dipendenti nel corso dello svolgimento quotidiano dell’attività lavorativa, magari sull’operatività di macchinari e impianti, o sull’esatto dosaggio delle componenti chimiche di un prodotto: il rischio in questi casi è che queste informazioni, restando implicite, non entrino mai nel patrimonio informativo dell’organizzazione, perché restano personali, patrimonio non condiviso di qualche collaboratore che poi, quando viene meno il rapporto di lavoro, si perde e magari viene anche acquisito da concorrenti insieme al collaboratore.
Nel mezzo poi ci sono tutte le informazioni che per essere sfruttate devono essere decodificate, o misurate: per esempio, in un contesto produttivo, la particolare taratura o messa a punto di strumenti e componenti meccaniche di impianti; ma possono essere un esempio anche gli algoritmi dei sistemi di AI e anche, più banalmente, i codici dei software: sicuramente sono formalizzati, ma è complesso ricondurli agli algoritmi definiti in fase di analisi.
Ora più che mai l’informazione è funzionale al governo della performance di un’organizzazione.
Ma come utilizzare questi dati ed estrarne, e svilupparne, tutto il valore potenziale?
Gli strumenti per la valorizzazione del patrimonio informativo aziendale
Avere la disponibilità di informazioni ma non saperle riconoscere, oppure non saperle mettere in relazione, le rende sterili.
Le organizzazioni devono progettare e realizzare un processo di digital intelligence che si compone di consapevolezza, controllo e protezione delle informazioni che hanno a disposizione.
Se ben condotto, gli outcome possono essere i più vari, a seconda delle circostanze e dei contesti coinvolti: ad esempio, nuovi processi produttivi per l’azienda, nuovi prodotti /servizi offerti al mercato, nuove modalità di offerta e nuovi modi di individuare i clienti e interloquire con loro (e quindi nuove modalità di relazione con i clienti, consumatori o altre imprese); quindi, non solo creazione di ricchezza e vantaggio per l’azienda ma anche proiezioni sull’ambiente esterno, da quello più prossimo (dipendenti, clienti, fornitori, concorrenti diretti) a quello globale: nuovi impatti sul mercato, sull’ambiente, sulla società, anche in termini di sostenibilità dell’economia.
Questo processo di valorizzazione dell’informazione quale componente del patrimonio aziendale parte dunque necessariamente dalla consapevolezza:
- quali sono le informazioni a disposizione, di che tipo e qualità sono, se sono espresse e in che modo;
- quali informazioni sono effettivamente utili, e dunque vanno valorizzate e protette (vale anche la pena investire per proteggerle e valorizzarle);
- dove si trovano: in quali asset sono formalizzate, se lo sono. E se invece sono implicite, come esplicitarle, se farlo e con quali limiti: potrebbe trattarsi di informazioni parte del know-how aziendale, commerciale o tecnologico, da mantenere segrete non solo rispetto al mondo esterno all’azienda, ma anche all’interno dell’azienda stessa, segmentandone quindi l’accesso interno. Potrebbe trattarsi di informazioni detenute da terzi: ad esempio, informazioni sul processo di lavorazione con cui viene realizzato da un fornitore un componente importante di un prodotto brevettato dall’organizzazione.
In questo modo si acquisisce una consapevolezza dettagliata e specifica delle caratteristiche del proprio patrimonio aziendale che consente di mirare le azioni e misure concrete più adatte per una gestione ottimale dello specifico patrimonio informativo, in un’ottica di pieno sviluppo del suo potenziale.
Alla base della progettazione delle azioni più idonee ci sarà necessariamente un’analisi del rischio: varrà la pena proteggere le informazioni veramente importanti per l’organizzazione, e che richiedono effettivamente riservatezza, con misure proporzionate sia sotto il profilo della vulnerabilità delle informazioni da proteggere e del tipo di minacce possibili, sia sotto quello del rapporto costi/benefici.
Poi naturalmente bisognerà gestire il rischio residuo e valutare l’efficacia/efficienza delle misure predisposte. Tra queste, ve ne saranno di natura legale, organizzativa, tecnica (fisiche / logiche).
Di Avv. Maria Roberta Perugini; IUSINTECH