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CONSENSO INFORMATO: L’INFORMAZIONE NELLA RELAZIONE MEDICO-PAZIENTE

consenso informato medico

Il consenso informato rappresenta il diritto del paziente ad essere informato circa le proprie condizioni di salute e si concretizza nella scelta libera e volontaria di decidere se sottoporsi o meno ad un trattamento sanitario. Allo stesso tempo, rappresenta un obbligo informativo per il sanitario che ha il dovere di rendere edotto il paziente sulle possibili conseguenze del trattamento.

Nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge”.

Questo è il principio con cui esordisce la legge. n. 219/2017, dopo aver fatto espresso rinvio agli artt. 2, 13 e 32 della nostra Carta costituzionale. Il legislatore ha fissato il principio secondo cui l’atto del consenso – quale consapevole adesione al trattamento proposto dal sanitario – è espressione dei diritti inviolabili della persona alla salute e ad autodeterminarsi che confluiscono nel diritto fondamentale alla libertà personale.

La manifestazione del consenso informato alla prestazione sanitaria, infatti, è espressione dell’esercizio di un autonomo diritto soggettivo all’autodeterminazione che, seppur connesso al diritto alla salute in quanto diritto alla propria integrità psicofisica, è distinto da quest’ultimo.

Dal punto di vista del paziente, il consenso informato è un atto di volontà che consente, a colui che ha ricevuto un’adeguata e corretta informazione, di prendere una decisione consapevole, autonoma, cosciente ed equilibrata riguardo le proprie condizioni di salute e i trattamenti a cui sottoporsi o da rifiutare.

Dal lato del professionista medico, il consenso informato può essere considerato come un atto medico, che si traduce in un obbligo informativo, inteso come prestazione a se stante rispetto alla cura del paziente. Del resto, il tempo che intercorre nella comunicazione tra medico e paziente “costituisce tempo di cura”. La violazione di tale obbligo è fonte di responsabilità del medico, in quanto l’assenza di informazione comporta una lesione della dignità dell’individuo.

Il diritto all’autodeterminazione può essere esercitato soltanto attraverso un consenso:

  • personale, da parte del paziente capace di intendere e di volere;
  • esplicito, e quindi reso noto in modo chiaro e non equivoco;
  • specifico, attraverso la puntuale indicazione dei trattamenti sanitari prospettati o l’intervento da eseguire;
  • attuale, espresso subito dopo l’informazione e poco prima del compimento dell’atto medico;
  • libero, senza costrizioni da parte di terzi;
  • consapevole, in quanto espresso solo in seguito al ricevimento di informazioni necessarie;
  • informato, in quanto mediante un’adeguata informazione il paziente viene istruito dal medico su eventuali rischi e conseguenze, anche negative, che il trattamento sanitario potrebbe causare.

Accanto al diritto di conoscere le proprie condizioni di salute, nonché di ricevere un’informazione adeguata e aggiornata riguardo “alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell’accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi” sussiste il diritto di rifiutare in tutto o in parte di ricevere tali informazioni, ovvero di indicare i familiari o una persona di fiducia incaricati a ricevere ed esprimere il consenso facendo le veci del paziente.

Un diritto che si estende al rifiuto, in tutto o in tutto in parte – e con le stesse forme di manifestazione del consenso – di qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico, ferma la possibilità di revocare o modificare la volontà.

Il medico che abbia rispettato la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo sarà esente da responsabilità civile o penale.

Una volta acquisito nei modi e con gli strumenti più confacenti alle condizioni del paziente, è documentato in forma scritta e inserito nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico.

La necessità del consenso informato, però, viene meno in due casi:

  • nelle ipotesi di trattamenti sanitari obbligatori, previsti espressamente per legge, che perseguono finalità di salute pubblica;
  • quando ricorra lo stato di necessità secondo l’ 54 del Codice penale.

 

Sulla relazione medico – paziente

 

Il diritto ad acconsentire o rifiutare al trattamento sanitario è il perno su cui si fonda il rapporto tra medico e paziente, nonché presupposto per la legittimità dell’attività medica.

Sul professionista grava il dovere di informare il paziente sulla natura dell’intervento, sui risultati attesi, sulle alternative terapeutiche, nonché su eventuali complicanze e rischi sottesi al trattamento e, infine, sulle dotazioni strutturali della struttura.

L’informazione da fornire al paziente, quindi, deve risultare esaustiva, chiara e comprensibile.

Questo perché il consenso informato e gli obblighi ad esso sottesi hanno come presupposto una asimmetria informativa, per cui, trattandosi di un rapporto oggettivamente  “non paritario” si esige l’avvio di un dialogo costruttivo.

Il consenso informato è pertanto strumento dell’alleanza terapeutica, del patto di fiducia che si instaura tra il medico e l’assistito. Tale alleanza terapeutica costituisce la ratio legis della legge n. 219/2017 ed emerge con l’espressione “relazione di cura e di fiducia” in cui il paziente diventa parte attiva del processo decisionale mediante il proprio consenso. In base alle rispettive competenze, inoltre, gli esercenti la professione sanitaria che compongono l’équipe.

 

Sulla tutela risarcitoria

 

Per molti decenni la giurisprudenza ha contribuito a ricostruire sistematicamente la portata di tale diritto e, di recente, la terza sezione della Corte di Cassazione, con sentenza n. 28985/2019, ha chiarito definitivamente che la manifestazione del consenso del paziente alla prestazione sanitaria costituisce esercizio di un autonomo diritto soggettivo all’autodeterminazione distinto dal diritto alla salute.

Nello specifico, la violazione da parte del medico del dovere di informare il paziente, può causare due tipi di danni:

  •  un danno alla salute, quando sia ragionevole ritenere che il paziente sul quale grava il relativo onere probatorio se correttamente informato avrebbe rifiutato di sottoporsi all’intervento;
  •  un danno da lesione del diritto all’autodeterminazione predicabile se, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio patrimoniale (di apprezzabile gravità) diverso dalla lesione del diritto alla salute.

A seconda che sia accertata un’omissione o insufficiente informazione, diverse saranno le situazioni ipotizzabili.

La Corte di Cassazione, a tal proposito, ha ricostruito cinque ipotesi e, per ciascuna, ha chiarito i profili risarcitori:

  • omessa/insufficiente informazione che ha provocato un danno alla salute a causa della condotta colposa del medico a cui il paziente avrebbe in ogni caso scelto di sottoporsi nelle medesime condizioni. In tal caso verrà ammessa la tutela risarcitoria solo con riferimento al danno alla salute subito dal paziente, nella sua duplice componente, morale e relazionale;
  • omessa/insufficiente informazione in relazione all’intervento che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta colposa del medico, a cui il paziente avrebbe scelto di non sottoporsi. Spetterà il risarcimento del danno alla salute e del danno da lesione del diritto alla autodeterminazione del paziente;
  • omessa/insufficiente informazione in relazione a un intervento che ha procurato un danno alla salute (inteso anche come aggravamento delle condizioni preesistenti) a causa della condotta non colposa del medico, a cui il paziente avrebbe scelto di non sottoporsi. In tal caso il risarcimento sarà liquidato con riferimento alla violazione del diritto all’autodeterminazione in via equitativa, e l’eventuale danno alla salute nella misura “differenziale” tra il maggior danno biologico conseguente all’intervento ed il preesistente stato patologico invalidante del soggetto;
  • omessa informazione in relazione a un intervento che non abbia causato un danno alla salute del paziente, cui egli in ogni caso scelto di sottoporsi. In tale ipotesi il risarcimento sarà escluso;
  • omissione/inadeguatezza diagnostica che non abbia comportato un danno alla salute del paziente, ma che allo stesso tempo gli abbia impedito di accedere ad esami più accurati e attendibili. In tale circostanza, il danno da lesione del diritto di autodeterminazione sarà riconosciuto qualora il paziente riesca a provare che dalla omessa, inadeguata o insufficiente informazione siano derivate conseguenze dannose, di natura non patrimoniale, in termini di sofferenza soggettiva e contrazione della libertà di disporre di se stesso.

Affinché venga riconosciuto il diritto al risarcimento dei suddetti pregiudizi, sarà necessario effettuare un giudizio controfattuale su quale sarebbe stata la scelta del paziente in presenza di una corretta informazione.

Per fornire criteri uniformi in sede di liquidazione del danno derivante da violazione del diritto all’autodeterminazione, l’osservatorio sulla Giustizia civile ha aggiornato le Tabelle di Milano, indicando parametri specifici per il risarcimento del danno da mancato o insufficiente consenso informato in ambito sanitario. A tal fine sono stati inseriti quattro livelli di gravità distinguibili, a seconda del caso concreto, in: lieve, media, grave, eccezionale.

 

Di Avv. Giuseppe De Marco, Dott.ssa Giovanna Michienzi – LegalSanità

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