Gli elevati costi della giustizia e le tempistiche dei giudizi rappresentano sempre più un deterrente per il ricorso alla giustizia, pregiudicando le aspettative di ottenere una tutela nutrite dal singolo cittadino.
Lo strumento della class action, seppure con le diverse peculiarità che lo contraddistinguono in ciascun paese del mondo, presenta notevoli vantaggi.
Questo contributo mira ad approfondire le caratteristiche di questo strumento, analizzandone presupposti e modalità di attivazione.
La disamina delle sue caratteristiche e l’esame dei vantaggi offerti, analizzati anche in chiave comparato, ci permetteranno di riflettere sulle ragioni che, a oggi, continuano a ostacolare in Italia l’utilizzo di simili iniziative di tutela collettiva.
Lo strumento della class action nel mondo e in Italia
In alcuni casi, ben predefiniti, in cui viene invocata la tutela di un diritto da una pluralità di soggetti, può essere avanzata un’azione di tipo collettivo.
Si parla in questi casi di class action.
La class action nasce in Inghilterra per poi trovare la sua piena diffusione negli Stati Uniti, dove, in tutti casi in cui il numero dei soggetti coinvolti sia considerevole e vi è una comunanza tra le situazioni giuridiche e di fatto da trattare, è sempre più frequente assistere al ricorso a questo tipo di azioni di massa.
Inoltre, negli Stati Uniti il ricorso a questo tipo di tutela permette di ottenere non solo il risarcimento del danno, ma anche i c.d. danni punitivi (si parla di danni punitivi quando viene riconosciuto un risarcimento ulteriore rispetto a quanto necessario a ristorare il danno).
In Europa, è solo con la direttiva dell’Unione Europea 98/27/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio Europeo che viene introdotta la prima disciplina di un’azione collettiva riservata ad associazioni di consumatori e autorità pubbliche indipendenti che possono in questo modo agire in giudizio a tutela di un gruppo di soggetti.
In Italia però occorrerà attendere, in quanto i tentativi di ottenere una compiuta disciplina di una azione di tipo collettivo in favore dei consumatori sono stati diversi. Solo nel 2009, con la legge n. 244/2007 (“finanziaria 2008”), si ha l’effettiva introduzione di questa azione collettiva all’interno del nostro ordinamento.
Successivamente, la possibilità di avviare questo tipo di tutela è stata estesa anche ai singoli consumatori, non più quindi alle sole associazioni di consumatori.
L’art. 140-bis del Codice del Consumo, in particolare, ha previsto la possibilità per il singolo cittadino, per un comitato o per un’associazione di consumatori di attivare un’azione tesa ad ottenere un risarcimento derivante da danni o inadempienze contrattuali, legati al consumo (ad esempio, per condotte o pratiche commerciali scorrette, acquisto di un prodotto difettoso o pericoloso, ecc.).
Il risarcimento del danno non si riduce al solo danno c.d. patrimoniale, ma anche a quello non patrimoniale (morale, esistenziale o di immagine).
La class action può essere promossa tanto contro un soggetto privato quanto contro una Pubblica Amministrazione o un concessionario di un pubblico servizio nel caso di mancata o ritardata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori, violazione di carte di servizi e ancora violazione di standard qualitativi ed economici.
Presupposto necessario per ricorrere alla class action è la coesistenza di diritti soggettivi omogenei (non necessariamente identici, si badi bene) o interessi collettivi.
Per esempio si può parlare di omogeneità nel caso di diritti vantati da più consumatori o utenti nei confronti di un medesimo soggetto.
Anche in ambito bancario, è sempre più frequente il ricorso alla class action, essendo stata equiparata la natura del risparmiatore a quella del consumatore.
Il vantaggio di un’azione di questo tipo è sotto gli occhi di tutti sia dal punto di vista dell’economia processuale (risparmio di tempo) che dal punto di vista del risparmio dei costi.
Ma, venendo al caso concreto, questo strumento può tornare anche molto utile nel caso di iniziative da promuovere nei confronti di grandi multinazionali, in cui, pur partendo da una situazione di potenziale “debolezza” difensiva, è possibile dotarsi di un amplio e qualificato collegio difensivo e organizzare un articolato quadro probatorio, grazie ad attività di confronto e incontro tra i numerosi soggetti coinvolti e portatori del medesimo interesse.
La class action in pratica
Nel 2016, all’esito di una class action promossa innanzi alla corte newyorkese, una delle più grandi multinazionali nel settore dei fastfood è stata costretta a sborsare 3,75 milioni di dollari per violazione di norme sul lavoro a danno dei propri dipendenti.
Sempre negli Stati Uniti, una nota società produttrice di bibite energizzanti è stata costretta a rimborsare 13 milioni di dollari ai propri clienti per pubblicità ingannevole.
In Inghilterra, all’esito di una class action promossa nel 2017, definita come la class action più grande mai azionata in Regno Unito, un colosso delle carte di credito è stato condannato nel 2019 a pagare circa 14 miliardi di sterline per l’applicazione di illegittime commissioni nelle transazioni.
In chiave attuale, si registrano di recente diverse iniziative, in ambito statunitense ed europeo, volte a coordinare e promuovere l’avvio di class action contro il Governo Cinese, reo di aver causato o quantomeno aggravato gli esiti della pandemia da Covid-19 con una condotta reticente e poco trasparente.
Il Governo Cinese, infatti, avrebbe trasmesso tardivamente le informazioni utili in piena violazione del Regolamento sanitario internazionale e, più in generale, avrebbe condotto con eccessiva superficialità la gestione dell’emergenza.
Il ventaglio di risarcimenti ottenibili è il più ampio e varia dal danno biologico in sé al danno non patrimoniale in generale, dal danno da perdita parentale al danno patrimoniale per la diminuzione di fatturato, l’interruzione o cessazione dell’attività o ancora la perdita del posto di lavoro.
Limiti della class action e cambiamenti portati dalla nuova riforma
Ad oggi in Italia, nonostante i vantaggi sopra menzionati, questo strumento giudiziale non è riuscito a decollare.
La maggior parte delle iniziative viene, infatti, stoppata in sede di giudizio di ammissibilità.
Secondo la disciplina interna, infatti, l’avvio dell’azione collettiva è subordinato a un rigido gudizio di ammissibilità, in cui il Tribunale deve vagliare analiticamente la sussistenza dei presupposti per poi dichiarare eventualmente l’ammissibilità.
Le difficoltà a identificare e quantificare il danno e le difficoltà nella individuazione di un gruppo omogeneo di richiedenti la tutela rischiano spesso di comportare l’esito negativo del predetto giudizio di ammissibilità.
L’eccessiva durata di un giudizio, poi, e il suo campo di applicazione limitato alle sole fattispecie del consumatore rappresentano, a mio avviso, un forte deterrente all’utilizzo di simili iniziative di tutela di massa.
In particolare, l’ambito operativo appare circoscritto a:
- clausole vessatorie (art. 33 e seguenti del Codice del consumo);
- promozione di vendite (art. 39 e seguenti del Codice del consumo);
- ipotesi di credito al consumo, conclusione di contratti fuori dei locali commerciali, conclusione di contratti a distanza inclusi i servizi finanziari ai consumatori, contratti di multiproprietà, servizi turistici, clausole di esonero dalla responsabilità del produttore (art. 124 del Codice del consumo);
- garanzie nei contratti di vendita (art. 128 e seguenti del Codice del consumo).
Appare evidente come vengano contemplati solo alcuni dei diritti soggettivi fondamentali dei consumatori, restando escluse le ipotesi di danni alla salute (fatte salve quelle di danno da prodotto difettoso).
Per esempio, sebbene l’attualità e la grande sensibilità registratasi intorno a questo tema, non potrà essere invocata una class action per la tutela del proprio diritto alla salute da inquinamento ambientale
Inoltre, la procedura italiana è stata, fino a oggi, improntata al criterio dell’opt-in, secondo cui in caso di esito favorevole il risarcimento opererà solo nei confronti di coloro che hanno aderito all’iniziativa, diversamente da quanto avviene negli Stati Uniti in cui la tutela si estende anche a coloro che non hanno aderito (opt-out).
Anche per questo motivo il ricorso alla class action nel nostro Paese non ha sortito gli effetti attesi.
È auspicabile che il suo utilizzo possa essere incentivato con la riforma attuata con la Legge 31/2019 entrata in vigore lo scorso 19 maggio.
Attraverso l’intervento del legislatore, l’azione di classe troverà una sua collocazione in ambito codicistico, potenziando sia il profilo soggettivo che oggettivo.
In particolare, l’iniziativa non sarà più azionabile solo dai consumatori e non sarà più limitata alle ipotesi di responsabilità contrattuale.
Inoltre, da un punto di visto processuale, il rito dovrebbe essere più snello e dovrebbe essere prevista la possibilità di aderire alla class action anche in seguito alla sentenza che accoglie la domanda.
Di Avv. Luigi Randazzo; Studio Gierrelex