Il fenomeno del bullismo a scuola è tutt’altro che in diminuzione e le statistiche rivelano che esso è diffuso tra gli adolescenti e i giovanissimi, specie tra i banchi di scuola. Per questo motivo, le istituzioni pubbliche si sono attivate con campagne di sensibilizzazione che hanno visto coinvolti gli allievi delle scuole italiane in spot, cortometraggi e altre iniziative in cui tale problema veniva affrontato e condannato.
Sensibilizzare è la parola d’ordine, consci che il bullismo a scuola viene combattuto soprattutto con l’istruzione e la cultura, con l’educazione civica e la messa in pratica dei valori democratici e liberali della Costituzione.
Anche il legislatore è intervenuto disciplinando, con la legge del 29 maggio 2017 n. 71, la variante del “cyberbullismo”, ossia quando il “bullismo” viene praticato attraverso la condivisione delle informazioni personali su internet e sui “social”.
In generale, però, i comportamenti classificati come “bullismo” trovano sanzione e repressione penale ancora una volta attraverso l’applicazione di norme ordinarie previste per altre tipologie di reati, tra i quali:
- percosse, violenza privata, lesioni;
- minaccia, diffamazione, molestia;
- estorsione, induzione al suicidio;
Le statistiche dicono che (sondaggi eseguiti tra il 2001 e il 2014, fonti varie):
- il 50% degli 11-17enni ha conosciuto almeno un caso di bullismo;
- sono colpite più le femmine (20,9%) che i maschi (18,8%);
- il fenomeno è diffuso più al nord (57%) che al sud;
- il fenomeno colpisce più i licei che le scuole di formazione professionale;
- il bullismo viene perpetrato soprattutto in aula (27%) o in autobus per recarsi a scuola (22,9%);
- fenomeni di bullismo avvengono anche nei corridoi della scuola (14%) o in cortile durante la ricreazione (16%);
Si tratta di un fatto preoccupante che nasce soprattutto negli ambienti scolastici e dalla scuola parte la risposta di prevenzione ed educazione culturale.
Le domande che è legittimo porsi in tali frangenti riguardano tre ambiti di delimitazione del fenomeno:
- come riconoscere il bullismo;
- chi è responsabile del bullismo;
- imputabilità del “bullo”.
Come riconoscere il bullismo. Non qualsiasi comportamento offensivo caratterizzato da parolacce o insulti integra il “bullismo”. Razionalmente, potrà integrare un altro comportamento illecito o illegittimo, ma non il “bullismo”. Perché sia tenuta una condotta qualificabile come “bullismo” occorre che:
- sistematicità/ripetitività: la vittima è un soggetto ricorrente, bersaglio di atteggiamenti persecutorio/vessatori, che si ripetono nel tempo;
- asimmetria di potere/coercizione di potere: da parte di un coetaneo in posizione di forza (“bullo” o “branco”) nei confronti di una vittima isolata e ricorrente;
- intenzionalità della condotta: aggressione fisica/verbale ovvero derisione/diffamazione perpetrata con intento lesivo/offensivo;
Chi è responsabile del bullismo. Esiste una responsabilità anche penale che è personale e che analizzeremo al punto successivo ed è la responsabilità dell’autore materiale del comportamento aggressivo. Sussiste, però, anche una responsabilità oggettiva, che prescinde dalla colpa, e che attiene piuttosto alla c.d. “culpa in vigilando/organizzando”. È la responsabilità ai sensi dell’art. 2048 cod. civ., la responsabilità del precettore e dell’insegnante per non aver saputo prevenire il fatto. L’unica esimente concessa è la prova liberatoria a carico del docente/preside di non aver potuto impedire il fatto.
Imputabilità del “bullo”. L’ordinamento processuale penale italiano non permette di imputare in un processo un soggetto minore d’età. Più precisamente, occorre distinguere a seconda che il “bullo”:
- abbia un’età inferiore ai 14 anni: in questo caso l’esonero della responsabilità penale è totale perché si presume che l’immaturità psicologica del soggetto gli impedisca di percepire la gravità della condotta. In tali casi, la responsabilità potrà essere solo dei genitori o degli organismi scolastici in base a quelle considerazioni che si sono fatte sopra;
- abbia un’età ricompresa tra i 14 e i 18 anni non compiuti: in questo caso, l’adolescente è imputabile processualmente se viene accertata la sua capacità di intendere e di volere. Diversamente, verrà trattato come nel caso precedente e, quindi, con affidamento ai servizi sociali per la rieducazione e la libertà vigilata.
“Prendere in giro” un coetaneo non è né uno scherzo né un gioco: dietro l’apparenza di un litigio tra amici, si annidano spesso disagi sociali e intenti microcriminali che vanno debellati con la denuncia e l’intervento repressivo delle autorità, ma soprattutto con la cultura dell’inclusione e del rispetto, che la scuola e l’educazione familiare devono essere in grado di infondere e trasmettere.
La nostra polizza DAS in Famiglia tutela tutto il nucleo famigliare dei nostri assicurati con l’obiettivo di tutelarli da ogni ingiustizia, compresi gli attacchi e maltrattamenti di bulli e prepotenti.