È difficile racchiudere in poche centinaia di parole un concetto complesso come quello di sostenibilità, diventata ormai un obiettivo per il futuro. In fondo, tale parola sta influenzando le nostre vite, quelle dei nostri figli e delle persone che ci conoscono, ma anche le nostre aziende, il nostro paese, i rapporti internazionali. La lista delle realtà impattate dal fenomeno sostenibilità nel senso più ampio del termine è potenzialmente infinita.
Di sostenibilità parlerò diffusamente, con altri graditi ospiti, durante la live di Das “La parola agli esperti”. Appuntamento a mercoledì 15 settembre alle ore 17.30, sui canali di Das.
Se però esiste una maniera per “inquadrare” la tematica della sostenibilità, credo sia quella di pensare a un mondo che guarda al futuro in maniera eticamente consapevole. Per la prima volta, dopo anni di corsa sfrenata verso la produttività, la globalizzazione, l’efficientamento, ci siamo fermati e abbiamo capito che una società non può definirsi veramente sviluppata se non è capace di tutelare le prossime generazioni.
E quindi, volendo provare a definire questo fenomeno, cosa vuol dire guardare al futuro per una realtà societaria?
Vuol dire investire in maniera consapevole, sapendo che l’ambiente è la risorsa primaria – senza la quale non può esistere innovazione (e forse, guardando in maniera più cinica, non può esistere l’essere umano).
Vuol dire creare reti virtuose con società virtuose e clienti virtuosi pronti ad intraprendere un medesimo percorso.
Vuol dire investire nella propria governance per fare sì che tutte le voci, tanto dei dipendenti quanto dei nostri stakeholder possano essere ascoltate.
Vuol dire investire nel welfare, nella diversity, nell’inclusione, per fare sì che gli ambienti di lavoro siano luoghi nei quali l’essere umano può trovare una propria sublimazione.
Vuol dire – se è possibile – rappresentare ciò che si vuole portare nel mondo in maniera consapevole. Facendosi esempio per gli altri e spingendosi a una costante messa in discussione.
I passi verso un futuro sostenibile
Entrando più nel dettaglio, è necessario creare innanzitutto la consapevolezza del rischio aziendale connesso a mendaci/suggestive campagne sulla sostenibilità, giacché la ricaduta in termini di perdita di fiducia sociale in caso di smentita delle stesse cagionerebbe danni devastanti anche e soprattutto in termini economici.
La già citata crescente attenzione delle nuove generazioni verso il tema del c.d. Climate Change, avviata nel 2015 da tre avvenimenti succedutisi rapidamente – quali l’enciclica ambientalista “Laudato si” di Papa Francesco, l’approvazione da parte dell’Assemblea Generale dell’ONU dell’Agenda contenente i 17 SDG’s e la COP 21 di Parigi – e di fatto incentivata all’indomani dell’apparizione – nell’agosto 2018 – sulla scena globale dell’attivista Greta Thunberg e conseguentemente del movimento Fridays for Future, ha accelerato il processo di riconversione economico-aziendale verso un modello di sviluppo sostenibile. Parallelamente, la crisi economica derivante dalla pandemia da Covid-19 che sta interessando il pianeta ed il conseguente piano Next Generation EU, strumento temporaneo per la ripresa da 750 miliardi di euro (con la derivazione italiana del PNRR) che prevede lo stanziamento di ingenti finanziamenti in materia di “modernizzazione”, ha ulteriormente accentuato le attenzioni nel settore, ormai divenuto un imprescindibile strumento di sviluppo economico-industriale-finanziario ai fini della stessa sopravvivenza delle realtà imprenditoriali.
Sostenibilità, non solo a parole
L’attuale momento storico – anche alla luce della considerevole mole di denaro che verrà nel breve periodo riversata sul mercato – vede dunque il costante utilizzo nel gergo commerciale di parole come “circular economy”, “sostenibilità”, “green deal”, con il rischio che le stesse rappresentino esclusivamente uno strumento di comodo per aumentare la c.d. “brand reputation” in assenza di provvedimenti e iniziative concrete ed effettive, o comunque in presenza di falle occulte nel proprio sistema gestionale, non individuabili con meri approcci di compliance.
In realtà le aziende al giorno d’oggi non possono più permettersi di ricorrere alla excusatio della scarsa conoscenza, giacché la matrice ambientale è divenuta ormai un tema imprescindibile in primis in un’ottica di sostenibilità economica, sia in chiave privata che pubblica, basti pensare alle politiche di “do no harm” adottate dalla UE, che prevedono l’impossibilità di finanziare attività o progetti che abbiano impatti negativi su clima ed ambiente.
È dunque necessario addivenire alla definizione di una vision aziendale che sappia gestire e governare meglio la complessità, anche riguardo ai temi ambientali e sociali, indirizzandola verso modelli di policy più efficienti e sicuramente meno vulnerabili. Se gli investimenti e i rischi connessi tendono sempre di più a connotarsi di preoccupazioni ambientali è necessario declinare nel modo migliore quale politica ambientale e quali obiettivi sono davvero degni di essere raggiunti, e con quale ritorno sugli investimenti (ROI). Essere leader in tal senso significa essere in grado di attivare scelte e politiche innovative, coraggiose, responsabili, che richiedono un duro lavoro di preparazione.
Serve pertanto un approccio olistico, quindi multidisciplinare e dinamico, parametrato sempre sulla base delle singole realtà aziendali. Alla cultura dell’adempimento a processi percepiti come estranei e della mera sottrazione dalle responsabilità ai sensi del Modello 231 si deve invece contrapporre un modello di governance proattivo che sappia indirizzare i processi e gli adempimenti aziendali verso una mission sociale. Insomma, le ragioni dell’impresa, se definite meglio e rapportate agli obiettivi concreti, dovranno coincidere con la sostenibilità ambientale e la gratificazione sociale, così evitando che un profitto immediato derivante da mere campagne di green-marketing possa trasformarsi nel medio-lungo periodo in un danno ingente, con conseguenti gravi ed irreparabili perdite in termini finanziari. A tal proposito, basti pensare ai costi connessi al litigation risk derivanti sia da possibili attività investigative svolte dagli organismi di P.G. preposti tese a verificare il contenuto delle disclosure aziendali in materia di DNF che da diatribe tra privati connesse ai c.d. claim ambientali che, oltre alle previsioni normative generali di cui al Codice del Consumo (artt. 20, 21 e 22), devono sottostare ad ulteriori specifiche normative quali la Direttiva CE 2005/29 sulle pratiche commerciali sleali, gli orientamenti del 25 maggio 2016 per l’attuazione della stessa e le indicazioni dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria, che è intervenuto estendendo l’ambito di operatività dell’art. 12 del Codice di Autodisciplina della comunicazione commerciale, secondo cui la comunicazione commerciale che dichiari o evochi benefici di carattere ambientale o ecologico deve basarsi su dati veritieri, pertinenti e scientificamente verificabili. Tale comunicazione deve consentire di comprendere chiaramente a quale aspetto del prodotto o dell’attività̀ pubblicizzata i benefici vantati si riferiscono.
In tale ottica, la sostenibilità deve divenire quasi uno strumento di Soft Power, valutando concretamente il gradimento degli stakeholder – a partire dai cittadini – rendendoli così protagonisti dei processi decisionali, unico vero strumento per creare un valore di lungo termine in grado di sopportare i fattori di stress che si possono presentare. L’obiettivo sarà conseguentemente quello di avere aziende maggiormente credibili e performanti sotto il profilo della sostenibilità, che daranno maggiori garanzie e potranno dunque risultare particolarmente attrattive sul mercato dei Socially/Sustainable Responsible Investing, affermando con forza il loro “diritto di esistere”.
La vera rivoluzione deve essere quindi etica più che finanziaria, puntando costantemente alla ricerca della verità quale valore di lungo termine tenendo a mente le parole di ammonimento del Cardinale James Gibbons: “Come tutte le merci di valore, la verità è spesso contraffatta”.
Ecco – fra tutte le sfide, questa è forse quella più difficile. Passare da movimento a realtà. Assumendosi un rischio di impresa, quello della sostenibilità, difficilmente declinabile dal punto di vista economico, e che porta con sé una serie inevitabile di rinunce e sacrifici. Ma in fin dei conti, come insegnano le migliori ricerche neuroscientifiche sulla forza di volontà, da Baumeister a McGonigal, la grandezza per l’essere umano consiste nella capacità di sacrificare la ricompensa effimera mirando a quella di lungo periodo.
E sui vantaggi nel lungo periodo, come insegna la coscienza di sostenibilità che stiamo portando da tempo avanti in LCA, non sembrano esserci dubbi.
dell’Avv. Giovanni Lega; LCA Studio legale