L’emergenza sanitaria da Covid-19, a fronte delle attuali contingenze storico-scientifiche e dello stato dell’arte della disciplina delle responsabilità sanitarie, delineata dalla Legge Gelli-Bianco, impone una riflessione circa le cautele che gli operatori del settore e le strutture sanitarie, sia pubbliche che private, debbano adottare al fine di evitare addebiti di natura penale. La riflessione in parola si rende ancor più necessaria in ragione dell’assenza, in tema di Covid-19, sia di linee guida o pratiche clinico-assistenziali chiare entro cui perimetrare l’operato medico, che di strumenti operativi consolidati che consentano alle organizzazioni sanitarie di presidiare efficacemente i rischi derivanti dalla contingente situazione emergenziale.
La responsabilità penale sanitaria alla luce della Legge Gelli-Bianco: la colpa medica e la gestione del rischio clinico
La disciplina della responsabilità degli operatori sanitari è stata oggetto, negli anni, di numerosi interventi normativi, confluiti, da ultimo, nella Legge 8 marzo 2017 n. 24, meglio nota come “Legge Gelli-Bianco”.
Siffatta normativa ha indubbiamente il merito di avere riordinato la responsabilità sanitaria, sia sotto il profilo civilistico, prevedendo l’obbligo assicurativo per le strutture sanitarie e ponendo maggiore attenzione alla qualità delle prestazioni da erogare, che dal punto di vista più strettamente penalistico.
A tal ultimo riguardo, la Legge, perseguendo l’obiettivo primario di contrastare il fenomeno della cosiddetta medicina difensiva, ha provveduto a cristallizzare l’importanza delle “linee guida” scientifiche o delle buone pratiche clinico-assistenziali, che assurgono a parametro valutativo imprescindibile ai fini dell’accertamento della responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria per le fattispecie di reato di lesioni e omicidio colposi, e conseguentemente per l’applicazione del nuovo art. 590 sexies del Codice penale, “responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario”.
Più dettagliatamente, mentre il previgente Decreto Balduzzi aveva escluso la responsabilità del sanitario, che, pur operando nel rispetto di consolidate linee guida, avesse agito con colpa lieve, questo articolo introduce una nuova forma di esclusione di punibilità per gli esercenti la professione sanitaria, che ricorre esclusivamente qualora l’operatore, avendo prestato la propria attività nel pieno rispetto delle linee guida scientifiche e delle buone pratiche consolidate, abbia commesso l’evento (lesione o morte) esclusivamente per imperizia.
A fronte di tale intervento normativo, dunque, la condotta imprudente o negligente del sanitario assume comunque rilevanza penale, a prescindere dalla gravità del suo errore.
A tale approdo è giunta anche la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n. 8770 del 2018, cui rinviamo per approfondimenti.
Sul punto, la Corte, oltre ad escludere l’applicabilità della causa di non punibilità alle ipotesi di negligenza o imprudenza dell’atto medico, è giunta ad affermare che il sanitario è penalmente responsabile per colpa (anche lieve) da imperizia quando il caso concreto non sia regolato dalle raccomandazioni delle linee guida o dalle buone pratiche cliniche assistenziali, ovvero quando l’operatore medesimo abbia provveduto alla individuazione e alla scelta di linee guida o di buone pratiche che non risultino adeguate alla specificità del caso concreto.
Inoltre, l’operatore è chiamato a rispondere del reato per colpa (solo grave) da imperizia, quando, pur avendo provveduto a una corretta individuazione di linee guida o buone pratiche, adeguate al caso concreto, e al rispetto delle medesime, l’evento si sia verificato per un errore nella fase esecutiva addebitabile all’operatore medesimo.
Di conseguenza, alle linee guida e alle buone pratiche assistenziali viene riconosciuta una funzione orientativa dell’operato dei sanitari, che incide fortemente sulla perimetrazione dei profili di colpa del sanitario rispetto all’atto medico posto in essere e, quindi, in punto di punibilità.
L’intervento normativo in questione, nel perseguire l’obiettivo di fornire indicazioni programmatiche idonee a guidare l’operato dei medici e delle strutture sanitarie, ha, inoltre, valorizzato l’importanza dell’impiego di metodi e strumenti di risk management sanitario, sia con riguardo ai rischi clinici che a quelli connessi all’organizzazione sanitaria, in quanto elementi imprescindibili per la tutela della salute del singolo e dell’intera collettività.
I profili di criticità dell’attuale sistema di responsabilità penale sanitaria: infezioni nosocomiali, nuovi rischi e relativi strumenti di controllo
La contingente pandemia da Covid-19 ha indotto il Governo e le istituzioni preposte ad assumere provvedimenti di contenimento e prevenzione del contagio, attraverso una legiferazione di emergenza, che ha dato luogo non solo a una situazione di grave incertezza normativa, ma anche di stallo e indeterminatezza rispetto alle linee guida e alle buone pratiche clinico-assistenziali da seguire nell’operato medico.
Sicché, la tutela recata dall’art. 590 sexies C.p., potrebbe risultare inadeguata rispetto all’emergenza da Covid-19, dando origine ad un’area di punibilità colposa del sanitario fortemente sproporzionata.
Basti pensare, ad esempio, al tema delle infezioni nosocomiali, contratte in seguito a contagio, e all’incertezza scientifica con cui il giudice penale dovrà accertare la responsabilità del sanitario in punto di causalità tra la condotta e l’evento morte o lesioni. Ad oggi, infatti, rispetto all’ipotesi di contagio da Covid-19, non esistono linee guida o buone pratiche clinico-assistenziali consolidate che consentano di guidare in modo puntuale e chiaro l’attività del sanitario. Pertanto, qualora, in sede penale, sia accertato un comportamento colposo, difficilmente potrà trovare applicazione la causa di non punibilità prevista dall’art. 590 sexies C.p.
Sul punto, tuttavia, vi è da interrogarsi su quale sia la condotta concretamente esigibile dal medico in un contesto, caratterizzato dalla novità della patologia e dalla anzidetta carenza di studi scientifici in materia, nonché aggravato da una massiccia e generalizzata carenza organizzativa, tanto con riferimento alla disponibilità di terapie idonee a contrastare il virus, quanto con riguardo alla penuria di strumentazione e adeguato (in numero e specializzazione) personale sanitario.
Ebbene, in siffatta situazione di indeterminatezza normativa e scientifica, l’operatore sanitario potrà andare esente da responsabilità allorquando sarà in grado di dettagliare – ad esempio attraverso una puntuale registrazione in cartella clinica – le iniziative assunte e le criticità, anche organizzative, riscontrate, fornendo evidenza dell’ancoraggio del relativo operato a linee guida e buone pratiche clinico assistenziali sicuramente non specifiche per il “caso Covid-19”, ma più aderenti possibile alla specificità del caso concreto.
Al contempo, anche l’organizzazione interna delle strutture sanitarie, sia pubbliche che private, risente fortemente dell’emergenza pandemica, soprattutto in ragione dello sconvolgimento che la stessa ha causato, sia con riguardo all’operatività ordinaria, che con riferimento ai vigenti sistemi di risk management, incapaci di approntare soluzioni organizzative efficaci.
Più in generale, l’emergenza Covid-19 ha reso maggiormente vulnerabili gli impianti organizzativi e procedurali delle strutture sanitarie, in ragione del sopravvenire di nuovi (o diversi) rischi, rispetto ai quali molti enti si sono trovati impreparati.
Basti pensare all’equiparazione del contagio, contratto in occasione del lavoro, all’infortunio sul lavoro, con la conseguente necessità, per gli enti, di approntare idonee misure di sicurezza e controllo, atte ad escludere addebiti di responsabilità di natura penale o amministrativa, così come previsto dal D.Lgs. 231/2001.
Conseguentemente, nello stato attuale di emergenza sanitaria, si acuisce il tema relativo al contemperamento tra diritto alla salute e diritto al lavoro, da cui è sorto proprio un recente dibattito circa la corretta qualificazione del rischio da contagio Covid-19: e, cioè, se lo stesso debba essere inteso in termini di rischio sociale generalizzato e che coinvolge ogni cittadino, ovvero di rischio professionale che vede coinvolti i soggetti tenuti ad espletare le proprie mansioni lavorative in condizioni emergenziali.
Siffatta esigenza di contemperamento è rilevante soprattutto per le organizzazioni sanitarie, impegnate, come già detto, nella gestione principalmente del rischio clinico.
Sicché, alla luce dell’attuale situazione emergenziale, le strutture sanitarie devono essere in grado di implementare presidi di controllo e di prevenzione alla diffusione dell’epidemia secondo azioni innovative e non basate sull’applicazione degli strumenti tradizionali di gestione del rischio.
In ragione di ciò, è auspicata la collaborazione tra le reti aziendali, con programmi di controllo infettivo basati sulla diffusione delle buone pratiche correlate alla prevenzione e al controllo delle infezioni (adozione delle precauzioni standard e delle precauzioni di isolamento specifiche aggiuntive) e la definizione di efficaci strumenti organizzativi e di sensibilizzazione della collettività (interna ed esterna all’ente).
In conclusione, dal momento che la situazione emergenziale attuale determina ancora incertezza, tanto l’operatore sanitario, che la struttura potranno andare esenti da responsabilità se saranno in grado di dar prova di aver fatto tutto quanto nelle loro possibilità per evitare l’evento lesivo.
Di Avv. Andrea Puccio; Studio Puccio – Penalisti associati