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RESPONSABILITÀ PENALE DEL COORDINATORE PER LA SICUREZZA IN FASE ESECUTIVA

Responsabilità penale del coordinatore per la sicurezza in fase esecutiva

La Corte di Cassazione ritorna sulla questione spinosa della portata della posizione di garanzia del Responsabile della Sicurezza in fase di Esecuzione (CSE), ponendo un freno alla frequente dilatazione della responsabilità del professionista attraverso il parametro della culpa in vigilando. Il tema è delicato perché, se da un lato si ritiene che il CSE non abbia l’obbligo di seguire il cantiere giorno per giorno in tempo reale, dall’altro lato la legge gli attribuisce la responsabilità ed il potere di sospendere direttamente le lavorazioni in caso di accertato pericolo, grave e imminente. Da ciò deriva un’area di apparente incertezza legata alla frequenza con la quale il professionista deve concretamente recarsi in cantiere e controllare lo stato dell’arte per non venire meno al suddetto obbligo di vigilanza. Offre un quadro interessante sulla portata e sui limiti della responsabilità del CSE la recentissima sentenza in commento (Cass. pen. Sez. IV, 10/06/2021, n. 24915).

 

La posizione di garanzia del CSE

 

Il Coordinatore per la Sicurezza in fase esecutiva gestisce il rischio legato all’interferenza tra le attività delle diverse imprese coinvolte nelle lavorazioni, ossia del “rischio derivante dalla convergenza di articolazioni di aziende diverse verso il compimento di un’opera unitaria” (Cass. pen. Sez. IV, 08/04/2015, n. 14167) che ricorre ove si riscontri la “presenza di lavoratori appartenenti a più aziende, autonome tra loro, ma che operano nell’ambito di un medesimo rapporto contrattuale” (Cass. pen. Sez. IV, 08/03/2016, n. 9571).

Si tratta di un rischio ulteriore e diverso rispetto a quello connesso alla singola lavorazione svolta da ciascuna impresa.

In questa angolatura il CSE assume una vera e propria posizione di garanzia, cioè l’obbligo giuridico di impedire eventi dannosi o pericolosi ai sensi dell’art. 40, comma 2 del Codice penale (non impedire un evento che si ha l’obbligo d’impedire, equivale a cagionarlo).

Va da sé che sussiste una stretta connessione logica e “cronologica” tra la gestione del rischio in fase esecutiva e l’antefatto che precede tale momento, ovvero la valutazione del rischio in sede di progettazione (nulla vieta che lo stesso professionista rivesta entrambi i ruoli).

Nella breve analisi che caratterizza il presente contributo è quindi bene prendere le mosse dall’art. 91 del D.Lgs. 81/2008: “Durante la progettazione dell’opera […] il coordinatore per la progettazione […] redige il piano di sicurezza e di coordinamento di cui all’articolo 100” che, come noto, costituisce uno dei pilastri sui quali poggia la sicurezza del lavoro in cantiere.

Appena dopo, l’art. 92 disciplina la figura del coordinatore in fase esecutiva: “Durante la realizzazione dell’opera, il coordinatore per l’esecuzione dei lavori: verifica, con opportune azioni di coordinamento e controllo, l’applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento […] e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro”, “verifica l’idoneità del piano operativo di sicurezza…”, organizza tra i datori di lavoro e lavoratori autonomi “la cooperazione ed il coordinamento delle attività nonché la loro reciproca informazione”, “segnala al committente o al responsabile dei lavori, previa contestazione scritta alle imprese e ai lavoratori autonomi interessati, le inosservanze […] e propone la sospensione dei lavori, l’allontanamento delle imprese o dei lavoratori autonomi dal cantiere, o la risoluzione del contratto. Nel caso in cui il committente o il responsabile dei lavori non adotti alcun provvedimento in merito alla segnalazione […] dà comunicazione dell’inadempienza” all’ASL e alla DPL competenti.

Soprattutto, per quanto concerne il cuore della presente analisi, ai sensi della lettera f) dell’art. 92 D.Lgs. 81/2008 il CSE ha il potere e il dovere di sospendere le lavorazioni in caso di pericolo grave e imminente direttamente da lui riscontrato.

Tutto questo fa del Coordinatore per la sicurezza in fase esecutiva il garante della sicurezza sul lavoro, con un ruolo operativo e concreto che mira ad assicurare l’effettivo rispetto delle previsioni contenute nel piano di sicurezza.

Ne deriva l’obbligo del CSE di frequentare il cantiere con una periodicità tale da consentirgli di esercitare il potere di vigilanza connaturato al suo ruolo.

Quindi, esattamente, con quale periodicità?

 

La sentenza n. 24915 della Cassazione penale

 

A seguito di un grave infortunio sul lavoro, verificatosi durante i lavori di ristrutturazione di un immobile, venivano condannati per crollo colposo di edificio (artt. 434-449 del Codice penale) e omicidio colposo (art. 589 del Codice penale) il proprietario e committente delle opere, il coordinatore in fase di progettazione ed esecuzione e il direttore dei lavori, ritenuti responsabili di aver determinato gli eventi cooperando tra loro attraverso condotte colpose indipendenti (art. 113 del Codice penale).

Avverso la condanna, pronunciata dal Tribunale e confermata dalla Corte di Appello, interponeva ricorso in Cassazione il CSE adducendo che “la posizione riconosciuta al coordinatore per la progettazione e l’esecuzione è solo quella dell’alta vigilanza delle lavorazioni, sottesa a gestire il rischio interferenziale, e non già a sovrintendere, momento per momento, alla corretta applicazione delle prescrizioni e delle metodiche di lavorazione, le quali rientrano nell’ambito di gestione del rischio specifico proprio”. Riteneva il ricorrente che la Corte territoriale fosse “incorsa in quel cedimento al quale si riferisce altra significativa pronuncia della Suprema Corte (Sez. 4, n. 3288/2017), finendo per rimproverare al coordinatore in fase di esecuzione quel mancato controllo continuo e puntuale sulle lavorazioni che la giurisprudenza di questa Corte di legittimità riconosce non potersi pretendere” atteso che “il coordinatore ha solo un ruolo di vigilanza in merito allo svolgimento generale delle lavorazioni e non è obbligato ad effettuare quella stringente vigilanza, momento per momento, che compete al datore di lavoro e ai suoi collaboratori”. “Apparirebbe sintomatico dell’errore concettuale in cui è incorso il giudicante dell’appello il laconico passaggio conclusivo della motivazione nel quale viene rimproverato al coordinatore di “essersi limitato a fidarsi dell’impresa esecutrice”, in ciò condensando la colpa in vigilando”.

Nel caso di specie l’infortunio mortale si era verificato a seguito del crollo di una soletta nel corso della sua totale demolizione, non prevista dal progetto e non autorizzata in sede amministrativa. I Giudici dei due gradi di merito avevano ritenuto carente l’attività di vigilanza del CSE in ragione delle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, avvenuta in maniera gravemente scorretta da parte delle maestranze.

In tale scenario fattuale al CSE veniva rimproverata l’omissione di puntuale e specifica vigilanza.

Peraltro, nel ricostruire i fatti, i giudici di merito davano effettivamente atto che il progetto di ristrutturazione assentito prevedesse la demolizione di una limitata porzione del solaio del sottotetto. Tale opera, nella sua configurazione ed entità originaria, era prevista progettualmente e correttamente inserita nei documenti afferenti alla sicurezza.

In corso d’opera, invece, senza che vi fosse deposito di variante amministrativa e strutturale, veniva demolito l’intero solaio di sottotetto (circa 100 mq), oggetto di crollo nelle ultime fasi di lavorazione, con modalità tecniche erronee ed assolutamente inadeguate a garantire la sicurezza degli operatori”.

Nondimeno l’imputato “non avrebbe vigilato che le concrete modalità operative di demolizione del solaio fossero tecnicamente corrette e idonee ad impedire il verificarsi di incidenti. In particolare, il giudice di primo grado osservava che l’imputato era frequentemente presente in cantiere e che la demolizione del solaio era iniziata già alcuni giorni prima del crollo, ma ciononostante non dispose la sospensione dei lavori fino all’avvenuto adeguamento del cantiere alla normativa di sicurezza”.

Ciò posto, ad avviso dei giudici di legittimità (che richiamano tra le altre pronunce in materia Cass. Sez. IV, n. 27165 dei 24/05/2016, Cass. Sez. 4, n. 45853 del 13/09/2017 e Cass. Sez. IV, n. 2293 del 19/11/2020) “in tema di infortuni sul lavoro, il coordinatore per l’esecuzione dei lavori non è tenuto ad un puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, che è invece demandato ad altre figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto), salvo l’obbligo, previsto dal D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 92, lett. f), di adeguare il piano di sicurezza in relazione alla evoluzione dei lavori e di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente direttamente riscontrato, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti”.

In relazione a tale ultimo profilo la Cassazione precisa che “l’obbligo di cui alla lett. f) è particolarmente importante, perché è norma di chiusura che, eccezionalmente, individua la posizione di garanzia del CSE nel potere-dovere di intervenire direttamente sulle singole lavorazioni pericolose, il che implica anche la necessità legale di frequentare il cantiere con una periodicità compatibile con la possibilità di rilevare le eventuali lavorazioni pericolose”. Ne deriva che il CSE “non può esimersi dal prevedere momenti di verifica della effettiva attuazione di quanto esplicato e previsto; ma anche queste azioni di verifica non possono essere quotidiane ed hanno una periodicità significativa e non burocratica […] Parallelamente, l’accertamento giudiziale non dovrà ricercare i segni di una presenza diuturna, ma le tracce di azioni di coordinamento, di informazione, di verifica, e la loro adeguatezza sostanziale”.

Conclusivamente, con questa interessante pronuncia la Cassazione ha offerto una utile chiave di lettura del ruolo del CSE, rimanendo peraltro non compiutamente delineato l’esatto crinale tra la non necessità di una vigilanza quotidiana e la pretesa dell’ordinamento di una vigilanza con “periodicità adeguata. Un rebus giuridico che, a voler essere obiettivi, non può dirsi compiutamente risolto.

 

Di Gian Maria Mosca; Avvocato del Foro di Torino

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