Con la legge 17 dicembre 2021 n. 215 di conversione del D.L. n. 146/2021, è cambiata la normativa in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Una delle modifiche più significative riguarda la nuova disciplina della vigilanza aziendale, che coinvolge il preposto ma anche e soprattutto il datore di lavoro e i dirigenti nei loro obblighi di organizzazione.
Senza molto clamore mediatico, almeno rispetto ad altre modifiche (come ad esempio il nuovo art. 14 del Decreto 81/08 sulla sospensione dell’attività imprenditoriale e sui nuovi poteri di vigilanza dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro), il legislatore ha riscritto gli articoli 18 e 19 nella parte che regola la vigilanza sull’osservanza delle regole di sicurezza in azienda.
Una riforma che può avere un impatto importante, perché i nuovi obblighi incidono sulla struttura e sul funzionamento delle organizzazioni, e non solo sull’operato dei singoli.
Tra i destinatari diretti delle modifiche il primo interessato è il preposto, i cui obblighi vengono riscritti nelle lettere a) e f-bis) dell’art. 19.
Il preposto deve, come già era, sovrintendere e vigilare che i lavoratori rispettino le disposizioni ricevute; ma vengono riformulate le azioni che deve adottare.
Se rileva “non conformità comportamentali”, deve “intervenire per modificare il comportamento non conforme fornendo le necessarie indicazioni di sicurezza” e, se questo non basta, “interrompere l’attività del lavoratore e informare i superiori diretti”.
Se invece si tratta di “deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e di ogni condizione di pericolo rilevata durante la vigilanza”, deve interrompere l’attività “se necessario” e comunque “segnalare tempestivamente al datore di lavoro e al dirigente le non conformità rilevate”.
Con l’obiettivo di renderli più effettivi e più efficaci, il legislatore riformula gli obblighi e specifica nel dettaglio cosa deve accadere quando il preposto accerta situazioni di inosservanza; distingue la “non conformità comportamentale” (e cioè la condotta del lavoratore) dalle “deficienze dei mezzi”; impone per i due casi sequenze ben precise, ma diverse, di intervento correttivo.
Alcuni di questi interventi sono rivolti direttamente al lavoratore; altri riguardano il sistema aziendale, perché impongono di coinvolgere i superiori.
In questo modo, la vigilanza responsabilizza direttamente il preposto, ma non si limita solo a questo, anzi; la gestione delle criticità e delle segnalazioni del preposto è una questione in tutto e per tutto aziendale, che coinvolge i soggetti apicali.
Datore di lavoro e dirigenti sono inoltre interessati dalla riforma in maniera ancora più profonda per quanto riguarda il loro ruolo di responsabili dell’organizzazione.
Viene modificato infatti anche l’art. 18, aggiungendo al comma 1 la lettera b-bis con l’obbligo di “individuare il preposto o i preposti per l’effettuazione delle attività di vigilanza di cui all’art. 19”; “i contratti e gli accordi collettivi di lavoro possono stabilire l’emolumento spettante al preposto per lo svolgimento delle attività di cui al precedente periodo” e “il preposto non può subire pregiudizio alcuno a causa dello svolgimento della propria attività”.
La nuova figura del preposto in materia di sicurezza sul lavoro
I soggetti apicali devono dunque formalizzare ciò che nell’organizzazione è (o almeno dovrebbe essere) già presente ma potrebbe non essere esplicito, appunto la presenza dei preposti; ma devono anche assicurarne l’effettività del ruolo, garantendo loro una formazione speciale assieme a una peculiare disciplina contrattuale (se le parti sociali lo concorderanno).
Al preposto va data una formazione specifica e adeguata, obbligatoriamente in presenza e con aggiornamento biennale: le modalità saranno decise dall’aggiornamento dell’Accordo Stato-Regioni da adottare entro il 30 giugno 2022.
Nel frattempo, rimangono vigenti le regole e gli obblighi di formazione del preposto già sanciti dal Decreto 81.
Organizzazioni prive di preposto non dovrebbero più esistere, se non quando la vigilanza può essere assicurata personalmente dal datore di lavoro e/o dai dirigenti; così come dovrebbero esistere soltanto preposti formalmente individuati, preparati e consapevoli.
Si tratta, con tutta evidenza, di un salto di livello nella configurazione dell’assetto di sicurezza delle organizzazioni.
Le modalità con cui tale nuovo assetto viene gestito costituisce anche un indicatore importante della politica di sicurezza di ciascuna organizzazione, anche nella prospettiva della responsabilità dell’ente ai sensi del Decreto 231.
La mancata individuazione dei preposti, e la carenza di vigilanza che ne deriva, costituiscono espressione di una inadeguatezza dell’assetto organizzativo, da ascrivere ai soggetti apicali; per converso, l’adempimento degli obblighi di individuazione/formazione, accompagnato dal riconoscimento dell’emolumento e dalla assenza di comportamenti ritorsivi, costituiscono gli elementi di un sistema aziendale virtuoso, rispetto al quale sarà più difficile affermare, in caso di infortunio sul lavoro, che il reato sia stato commesso “nell’interesse o a vantaggio dell’ente”.
di Giovanni Scudier; Studio legale Casella e Scudier