L’obbligo del datore di lavoro, di formazione e informazione dei lavoratori all’uso delle attrezzature, è da sempre valutato con molto rigore da parte della giurisprudenza. Esso va adempiuto con ancor maggiore attenzione in caso di noleggio da terzi di macchinari e attrezzature per l’utilizzo da parte del proprio personale. Oltre ai requisiti soggettivi del lavoratore destinato ad utilizzare la macchina (formazione pregressa, contenuti della mansione), entrano in gioco le caratteristiche specifiche della singola attrezzatura, e soprattutto i requisiti del soggetto formatore. Quest’ultimo aspetto è particolarmente importante, perché è frequente che il lavoratore venga formato dallo stesso tecnico dell’impresa fornitrice, oppure da un tecnico interno della ditta utilizzatrice; ma occorre fare attenzione sia a chi forma, sia a qual è l’effettivo oggetto della formazione.
Il noleggio di macchine e attrezzature è di uso frequentissimo nella attuale organizzazione del lavoro d’impresa. E’ una soluzione che presenta molti profili delicati per la sicurezza del lavoro, tra i quali la formazione del personale riveste un ruolo centrale, spesso oggetto delle sentenze della Suprema Corte di Cassazione. La recente sentenza n. 8163/2020 della Corte di Cassazione ad esempio richiama l’attenzione su alcuni principi fondamentali della formazione e informazione in caso di noleggio, ma validi anche rispetto alla sua configurazione generale, quella cioè che riguarda tutti i lavoratori e tutte le attività lavorative. Vediamo in concreto.
La fattispecie è la condanna di un datore di lavoro in relazione alla morte di un lavoratore e al grave infortunio di un altro occorsi durante l’utilizzo di una pompa per intonacatura con spritz-beton presa a nolo e affidata a due lavoratori. Questo il caso: i due lavoratori fermavano le operazioni a causa del distacco della lancia dal gommone di collegamento all’impianto, distacco dovuto all’assenza di spina di sicurezza sulla cravatta di chiusura, ma non provvedevano al prescritto scarico di pressione mediante aspirazione nella tramoggia del calcestruzzo, sicché, quando ripristinata la cravatta riallineavano il gommone alla lancia, la pressione rimasta all’interno determinava un violento movimento a frusta del gommone insieme alla fuoriuscita violenta del tappo di calcestruzzo formatosi a seguito della sosta. In conseguenza dell’incidente, un lavoratore perdeva la vita e l’altro rimaneva gravemente ferito.
La sentenza, dopo aver sottolineato che il datore di lavoro dei due operai aveva presentato al suo cliente la disponibilità di manodopera asseritamente “specializzata” (e da qui la rilevanza del tema dell’idoneità tecnico-professionale), individua la causa dell’evento nella mancata effettuazione della manovra di aspirazione del calcestruzzo e di scarico della pressione dell’impianto, espressamente prevista nel manuale d’uso e manutenzione dell’attrezzatura; quindi – ritenuto che l’attrezzatura fosse stata fornita con tutti i sistemi di sicurezza previsti – addebita al datore di lavoro la responsabilità, ritenendo la situazione occorsa riconducibile alla mancanza di formazione dei due lavoratori.
In una prospettiva di carattere generale e al di fuori delle peculiarità della specifica fattispecie, alcuni passaggi della sentenza meritano di essere menzionati.
La formazione sul rischio oggetto delle misure di prevenzione
La Corte di Cassazione reputa non rilevante la formazione ricevuta da uno dei lavoratori nel 2007 (l’infortunio avvenne nel 2014).
Secondo la sentenza, una formazione non si può ritenere “ancora idonea a sette anni di distanza”, e questo a prescindere dal fatto che esistessero (o non esistessero) norme che all’epoca ne prevedessero la rinnovazione: in sostanza la Corte afferma una implicita “obsolescenza” della formazione, conclusione rafforzata dal fatto che nel frattempo il lavoratore addetto alla manovra non aveva abitualmente operato come addetto a macchina erogatrice di calcestruzzo.
La prima questione posta da questo passaggio riguarda la valenza del rispetto, da parte del datore di lavoro, delle tempistiche di aggiornamento della formazione regolamentata introdotta dall’Accordo Stato-Regioni. Come noto, tutti gli Accordi siglati sotto l’egida della Conferenza Stato-Regioni (in tema di formazione generale, di formazione all’uso delle attrezzature di lavoro, ma anche sulla formazione di RSPP e ASPP) prevedono un aggiornamento periodico, generalmente su base quinquennale; ebbene, di fronte alla questione di una “obsolescenza” della formazione, si deve ritenere che, fino a che il termine ultimo previsto per il rinnovo della formazione non sia scaduto, per definizione ciò escluda la possibilità di contestare come non idonea la formazione impartita.
La seconda questione riguarda il rapporto tra formazione e mansioni, nella misura in cui la sentenza valorizza a scapito del datore di lavoro il mancato svolgimento di una certa specifica lavorazione negli anni, laddove la giurisprudenza prevalentemente, se non sempre, reputa irrilevante il dato dell’esperienza del lavoratore infortunato nella mansione interessata dall’evento.
La formazione sul rischio oggetto delle misure di prevenzione
La Corte di Cassazione reputa non rilevante la formazione ricevuta dal lavoratore anche per un altro motivo, e cioè perchè essa aveva riguardato sì una macchina spruzzatrice, ma di altra marca e più piccola; tale attrezzatura viene ritenuta non comparabile per grado di complessità e per differenza di pressione di esercizio con quella interessata dall’evento, e quindi la formazione ricevuta su quella attrezzatura viene considerata irrilevante.
Va osservato che, secondo la Corte, non conta neppure il fatto che la misura operativa di sicurezza da adottare fosse la medesima per le due attrezzature, e cioè “preventivamente scaricare l’impianto depressurizzandolo”; questo perché, considerata la “notevolissima diversità di potenza di erogazione”, non sono uguali “le conseguenze di una errata manovra da parte dell’operatore”, e quindi non si può affermare che vi fosse stata adeguata formazione “sui maggiori pericoli per l’incolumità degli addetti”.
Si ripropone da un lato il tema dell’oggetto della formazione, che deve includere senza dubbio anche l’analisi dei pericoli e delle conseguenze che la misura di prevenzione mira ad evitare; dall’altro il tema della modalità con la quale il datore di lavoro può dimostrare l’assolvimento di questo profilo dell’obbligo di formazione.
Nella specifica fattispecie, ad esempio, sembra essersi dato rilievo non tanto alla tipologia di rischio, legato alla persistenza di una pressione nell’impianto, quanto alla entità delle conseguenze, legate alla misura di quella pressione.
Il che lascerebbe intendere che qualsiasi formazione, ove non abbia riguardato direttamente e specificamente l’attrezzatura o la macchina interessata dall’evento, può essere considerata insufficiente.
L’addestramento e la qualifica di “formatore per la sicurezza”
Se è necessario compiere un giudizio di comparabilità tra ciò che è stato insegnato al lavoratore e ciò che gli viene chiesto di fare, un ruolo centrale è evidentemente svolto dall’addestramento, in quanto effettuato sul campo e specificamente sulla macchina o sull’attrezzatura.
Tuttavia, secondo la sentenza, la mera illustrazione delle modalità di funzionamento dell’attrezzatura o della macchina, ovvero il mero affiancamento di tipo operativo per correggere errori nell’uso o rispondere a dubbi dell’operatore, non sono sufficienti; né è sufficiente che essa venga compiuta da un tecnico conoscitore della macchina, sia esso il manutentore dell’impresa utilizzatrice o il tecnico dell’impresa fornitrice: la finalità dell’operato di questi soggetti, secondo la sentenza, è di assicurarne l’uso corretto e solo questo.
Occorre invece, secondo la Cassazione, una qualifica di formatore per la sicurezza, la quale “presuppone che il possessore abbia seguito specifici corsi formativi diretti a fargli acquisire tutte le nozioni necessarie in materia ed abbia inoltre fatto propria, attraverso il percorso seguito, la capacità didattica necessaria per trasmettere le conoscenze acquisite, cristallizzate in peculiari standard operativi via via aggiornati e validati, ai soggetti discenti”. La “mera trasmissione verbale o gestuale da parte di un soggetto dotato di superiore esperienza empirica sul campo…non può sostituirsi a quel bagaglio di conoscenze ed acquisizioni tecniche, elaborate attraverso continue acquisizioni, di cui un formatore qualificato per la sicurezza deve essere dotato”.
Il ruolo del fornitore dell’attrezzatura
Consegue a quanto sopra che l’impresa che fornisce a nolo un’attrezzatura (ma lo stesso è a dirsi per qualunque fornitore di macchine/attrezzature) dovrebbe disporre di personale formato con “specifici corsi” allo svolgimento della funzione “didattica” in materia di sicurezza.
Va peraltro osservato che secondo la Corte la mera “illustrazione verbale delle prassi da seguire” non configura responsabilità in capo all’impresa fornitrice dell’attrezzatura, quando questa non abbia assunto contrattualmente “l’obbligo di formazione del personale in materia di sicurezza della macchina, aspetto da non confondere con il servizio di istruzione sull’uso e sulla manutenzione”.
Anche il contratto, insomma, gioca la sua parte. E se la formazione di sicurezza non è contrattualmente affidata al fornitore, allora deve essere il datore di lavoro dell’impresa utilizzatrice a destinare alla formazione dei propri lavoratori un formatore qualificato.
di Avv. Giovanni Scudier; Studio legale Casella & Scudier