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LA RIFORMA CARTABIA: LE NOVITA’ IN TEMA DI DIRITTO ALL’OBLIO

diritto oblio

Il comma 25 dell’art. 1 della legge 134/2021 stabilisce alcune condizioni per la c.d. “deindicizzazione automatica” della notizia riguardante un soggetto già sottoposto a procedimento penale. L’autore, nell’articolo, cercherà di ripercorrere in modo conciso l’evoluzione storica del diritto all’oblio per valutare se la delega contenga effettivamente delle novità importanti in materia o se la norma non sia semplice specificazione di principi esistenti e se, in attesa della sua attuazione, non si possano già individuare alcune criticità.

 

Che cosa si deve intendere per diritto all’oblio

 

Tra gli aspetti più rilevanti del diritto di ciascuno di noi a vedere tutelata la propria privacy grande rilevanza assume la possibilità che si possa vedere pubblicato il proprio nome associato a fatti di cronaca.

Tale circostanza, che una volta era associata alla semplice comunicazione a mezzo dei media televisivi e, ancor prima, della carta stampata, oggi assume rilevanza ancora maggiore con l’esistenza di nuovi mezzi di comunicazione attraverso canali web e, soprattutto, con l’esistenza di un sistema di memoria digitale che consente di poter trovare notizie afferenti una persona semplicemente digitando il nome della stessa.

La possibilità di tale operazione ha sostanzialmente stravolto il concetto di diritto alla informazione e, contestualmente, alla propria privacy atteso che la memorizzazione digitale di quanto viene pubblicato nella rete rende di fatto impossibile far dimenticare l’esistenza di fatti che possono comunque essere pregiudizievoli per la propria reputazione tanto più se, successivamente, come nel caso dei procedimenti penali risoltisi con l’assoluzione o il proscioglimento, rimane la memoria della sottoposizione al giudizio dei Tribunali e non l’esito di esso.

Richiamando le definizioni della dottrina più attenta, potremmo definire il diritto all’oblio come “il diritto a che i fatti, pure pubblici, attinenti ad un soggetto, con il decorso del tempo cessino di avere tale qualità”.

Tale definizione conferma come tale diritto – ad essere sostanzialmente dimenticati – afferisca alla tutela della personalità intesa come tutela della identità e della dignità di una persona.

In buona sostanza, l’ordinamento giuridico italiano ed europeo riconosce in capo ad un soggetto il diritto ad essere dimenticato per i fatti con lui connessi o da lui commessi nel passato.

 

Come si esplica il diritto all’oblio nell’odierno ordinamento italiano

 

La prima regolamentazione normativa relativa al diritto da parte di un soggetto di vedersi cancellare le notizie che lo riguardano nell’ambito dei vari motori di ricerca (c.d. deindicizzazione) risale al Regolamento Europeo n. 679 del 2016 che è divenuta norma dello stato nel 2018 e ha trovato piena realizzazione nel Regolamento GDPR.

Prima di allora, il tema era già stato oggetto di diverse pronunzie della Corte di Cassazione, la quale, dopo essersi inizialmente occupata dei profili di tutela della personalità e della dignità in materia di pubblicazione su quotidiani o su riviste (si veda, ad esempio, la sentenza n. 16111 del 2013 che ha riconosciuto il diritto alla cancellazione in capo ad un ex-terrorista in relazione a fatti accaduti oltre vent’anni prima, assunta nel solco della storica sentenza 5525/2012), ha avuto modo di intervenire anche sulle modalità secondo cui il mantenimento della identità sui motori di ricerca è ancora giustificabile.

Nella sentenza resa a sezioni Unite (n. 19681/2019) la Corte ha definitivamente esplicitato le modalità di contemperamento tra il diritto all’oblio ed il diritto di cronaca, stabilendo la prevalenza del secondo soltanto in presenza di determinate condizioni, tra le quali il contributo arrecato dalla notizia ad un dibattito di interesse pubblico, ragioni di giustizia, di polizia, di tutela dei diritti e delle libertà altrui, ovvero scientifiche, didattiche o culturali, lo stato di figura pubblica del soggetto rappresentato, per la peculiare posizione rivestita nella vita pubblica, la veridicità, l’attualità e la continenza della notizia, che sia diffusa con modalità non eccedenti lo scopo informativo, nell’interesse del pubblico e priva da insinuazioni o considerazioni personali e la concessione all’interessato del diritto di replica prima della diffusione della notizia.

Con l’introduzione della normativa sopra citata, il legislatore ha voluto codificare quei principi già fatti propri dalla giurisprudenza.

In primo luogo, il diritto all’oblio si configura come diritto alla cancellazione dei dati personali: in sostanza, al ricorrere di una delle condizioni previste dal GDPR, i soggetti interessati potranno esigere la cancellazione dei propri dati personali da parte del titolare del trattamento, sul quale ricade l’obbligo di attivarsi in tal senso senza ritardo.

L’interessato può richiedere la cancellazione dei dati personali che lo riguardano in tre casi:

  • i dati non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali furono raccolti o trattati;
  • l’interessato si è opposto o ha revocato il consenso e non sussiste altro fondamento giuridico per il trattamento;
  • i dati sono stati trattati illecitamente.

Tuttavia, il diritto all’oblio non può peraltro essere esercitato in modo assoluto: l’esercizio di tale diritto potrà, in particolare, essere limitato o impedito in caso di trattamento dei dati necessario: per l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione (per la cui valutazione si rimanda ai principi di contemperamento tra diritto di cronaca e diritto all’oblio), per l’esercizio del diritto di difesa in sede giudiziaria, per motivi di interesse pubblico generale di tutela della salute pubblica, per l’adempimento di un obbligo di legge o per l’esecuzione di un compito svolto nel pubblico interesse o nell’esercizio di pubblici poteri (art. 17 Reg. GDPR).

 

Diritto all’oblio: le novità introdotte dalla riforma Cartabia

 

La legge n. 134 del 2021, legge delega per la riforma del processo penale, (c.d. Riforma Cartabia) ha previsto, in maniera definitiva all’art. 1 comma 25, il diritto alla deindicizzazione in capo agli imputati assolti o agli indagati a seguito dell’emissione di un decreto di archiviazione e di una sentenza di non luogo a procedere o di assoluzione, recependo un’esigenza normativa di ultima generazione in applicazione dei principi normativi dell’Unione europea.

A differenza del passato quindi, in presenza di una assoluzione o di un proscioglimento o di una archiviazione, l’interessato ha diritto – senza che possa essere eccepita alcuna necessità di diritto di cronaca – del vedersi “cancellato” dai motori di ricerca in relazione a quel fatto per il quale vi sia stato un esito giudiziale positivo.

Ma proprio questa possibilità rappresenta una forte limitazione e, di fatto, impedisce di poter parlare con ottimismo di una svolta nel rapporto tra singolo individuo e web.

In primo luogo per la limitatezza della materia oggetto dell’obbligo di cancellazione che riguarda solo determinati provvedimenti giudiziari in materia penale: in questo senso si può affermare che la riforma coglie solo uno dei possibili aspetti della indicizzazione (si pensi ad esempio ad un articolo dove un soggetto, ancorché non indagato, venga accomunato in qualche modo ad un clan mafioso; per costui varranno invece ancora le regole di contemperamento tra diritto di cronaca e diritto all’oblio).

In secondo luogo, restano comunque escluse le notizie pubblicate sui giornali e sui quotidiani stampati, per i quali valgono i principi generali e giurisprudenziali.

In terzo luogo, non appare del tutto chiaro e contestualizzato il termine “provvedimento di deindicizzazione”. Da un lato perché parlare di deindicizzazione comporta la necessità di collegarsi ad un motore di ricerca: ma si tralascia il fatto che nel nostro ordinamento non vi è una chiara ed univoca definizione del motore di ricerca. D’altro canto, l’utilizzo del termine provvedimento, viceversa, pare essere più prossimo ad una statuizione di tipo processuale, lasciando quasi intendere che un organo giudicante possa, contestualmente, emettere un provvedimento che imponga un onere negativo (quello di non indicizzare) nei confronti di soggetti terzi. Ma ciò crea alcuni problemi connessi sia alla possibilità che il terzo cui l’ordine è diretto si opponga non avendo partecipato alla decisione, sia in ordine alle modalità di esplicazione di tale provvedimento, sia in relazione alla portata territoriale dello stesso.

In conclusione, la norma delega, nella sua indeterminatezza, rischia di determinare la creazione di una norma “specchio” di un qualche cosa già esistente, e che possiamo rinvenire nel GDPR.

Vedremo se, nel futuro, tali dubbi saranno fugati.

 

di Avv. Attilio Villa; Studio legale associato Picchetti Villa Manzoni Bronzino Cappuccio

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