Lo sviluppo di una corretta gestione manageriale della contrattualistica può condurre non solo ad una premiante riduzione dei costi, ma anche a significativi miglioramenti negli assetti organizzativi delle società (rilevante anche agli effetti di cui all’art. 2381, quinto comma del Codice civile).
Rientra nella comune esperienza di ogni avvocato l’esigenza di doversi confrontare, nella gestione e/o risoluzione di controversie che attengano a tematiche inerenti all’adempimento di contratti, con profili spesso non agevoli afferenti all’interpretazione delle determinazioni che le parti hanno inteso esprimere e regolare nello stesso contratto.
Nella gestione di tali controversie la ricerca di una, il più possibilmente autentica, cognizione dell’effettiva volontà delle parti, costituisce infatti necessario presupposto di qualsivoglia successiva analisi o applicazione di istituti o principi giuridici.
Nello svolgimento di tale percorso cognitivo non sempre possono risultare di risolutivo ausilio le norme ed i principi generali di interpretazione del contratto che l’ordinamento offre all’avvocato così come al giudice chiamato a dirimere la controversia (art. 1362 e seguenti del Codice civile).
Di fronte quindi a clausole che mantengono irrisolti (o comunque controversi) profili di interpretazione, si può essere costretti a risalire alla volontà delle parti o attraverso argomentazioni a valenza meramente presuntiva (art. 2727 e seguenti del Codice civile), o all’ausilio di prove testimoniali: mezzo istruttorio, quest’ultimo, che in simili fattispecie non è sempre di agevole applicazione tenuto conto dei limiti ad esso propri – art. 2721 e seguenti del Codice civile – e, segnatamente, del tenue confine tra un capitolo di prova validamente circostanziato ed uno al contrario che rimetta, inammissibilmente, al teste la formulazione di non conferenti valutazioni personali.
E per quanto ci si sforzi di offrire un’interpretazione del contratto (o di singole sue clausole) che meglio rifletta gli interessi del cliente, tale proposta – in caso di controversia giudiziale – sarà comunque necessariamente rimessa al vaglio del giudice chiamato a risolvere la controversia con i rischi che da ciò inevitabilmente conseguono circa il buon esito dello stesso giudizio; come ho già avuto modo di evidenziare, sebbene in un diverso contesto, una incerta disciplina contrattuale potrebbe anche legittimare il giudice ad intervenire al fine di ripristinare, ad esempio, l’equilibrio contrattuale.
Perché farsi affiancare da un professionista per stipulare un contratto
Tanto più un contratto risulterà esprimere in modo chiaro ed inequivoco la volontà delle parti ed il contenuto delle obbligazioni (spesso a contenuto corrispettivo) che le stesse hanno inteso disciplinare, tanto più si eviteranno conflitti interpretativi su tale volontà e quindi si circoscriveranno (se non sensibilmente ridurranno) possibili ambiti controversi.
Pertanto, il ricorso all’esperienza e consulenza preventiva di un professionista nella stesura di un contratto che aiuti a riprodurre, nel rispetto di corretti principi giuridici, l’effettiva volontà delle parti, può spesso risultare una scelta assolutamente premiante e solo apparentemente onerosa se rapportata ai costi che le parti potrebbero essere costrette ad affrontare in caso di futura controversia.
Le suddette considerazioni, ancorché apparentemente ovvie, si scontrano al contrario con una ancora diffusa tendenza – soprattutto in certe realtà societarie – a richiedere la consulenza di un professionista solo nel momento in cui, a contratto autonomamente redatto e negoziato, si sia costretti ad affrontare la controversia.
Il ricorso a modelli “standard” di varie figure contrattuali, sempre più diffuso in un contesto ove una semplice ricerca su internet consente a chiunque di recuperare simili modelli, conduce ad una pericolosissima semplificazione della regolamentazione convenzionale che spesso non è in grado di cogliere (e quindi correttamente esprimere) le peculiarità che esistono in qualsivoglia rapporto contrattuale.
La scelta che sembrava quindi all’inizio quella più conservativa e meno onerosa, si dimostra la più sbagliata; non solo tale scelta espone la parte agli inevitabili rischi che derivano da un contesto negoziale poco chiaro e controverso, ma comporta la sopportazione di costi spesso assai superiori a quelli che si sarebbero sostenuti se si fosse richiesta una consulenza preventiva al professionista.
Recenti ricerche avrebbero dimostrato come una corretta gestione della contrattualistica può avere un impatto determinante non solo sulla gestione dei costi aziendali ma sullo stesso sviluppo del business (cfr. “Business; quanto conta la gestione della contrattualistica” di Laura Biarella pubblicato su Altalex).
Lo sviluppo di una diversa “cultura” nella gestione della contrattualistica può risultare quindi non solo un idoneo strumento di disincentivazione al ricorso alla controversia giudiziale, ma una risorsa per il miglioramento dei risultati economici e della certezza degli scambi commerciali.
L’approntamento o implementazione da parte delle aziende di virtuosi processi di formazione e negoziazione dei contratti può certamente realizzare un miglioramento degli assetti organizzativi; là dove siano minori i rischi di una non corretta interpretazione e quindi esecuzione dei contratti, maggiori saranno i vantaggi anche economici che le imprese conseguiranno anche in termini di certezza nella riscossione dei crediti e quindi gestione dei ricavi.
Di Avv. Gian Paolo Maraini; Studio legale Carbone D’Angelo