Una recente pronuncia della Cassazione offre spunto per ripercorrere l’evoluzione giurisprudenziale dell’ultimo decennio sullo spinoso tema della linea di demarcazione tra dolo eventuale e colpa cosciente. Il delitto “è colposo, o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente [..]”. La pena è aggravata se il soggetto ha “agito nonostante la previsione dell’evento” (artt. 43 e 61 del Codice penale). “l’imputata, addetta al controllo della porta di ingresso e di uscita della scuola” dell’infanzia “dalle ore 11:30 alle ore 12:30, se ne era allontanata per effettuare un altro servizio … così consentendo al piccolo” allievo, di appena 5 anni, di uscire dall’edificio e tornare a casa da solo. La maestra veniva condannata per abbandono di minori (art. 591 del Codice penale: prevede la reclusione fino a 5 anni) a titolo di dolo eventuale, ritenendosi che “abbandonando la postazione” avesse “accettato il rischio di verificazione dell’evento tipico connesso alla sua mansione, ovvero l’abbandono di minori incapaci di autotutelarsi”. La Corte ha annullato tale condanna (Cass. pen. Sez. V, 19/7/2021, n. 1764).
Dolo eventuale e colpa cosciente: la sentenza “perno”
In materia rimane una pietra miliare la pronuncia delle Sezioni Unite Penali 18/9/2014, n. 38343, con la quale la Corte confermò la responsabilità dei dirigenti di una nota acciaieria per omicidio colposo, escludendo l’ipotesi di omicidio volontario a titolo di dolo eventuale che aveva caratterizzato l’impostazione originaria dell’accusa data dalla Procura di Torino.
In estrema sintesi, l’ipotesi d’accusa originaria (dolo) poggiava sulla circostanza che in epoca precedente al tragico evento (un flash fire causò la morte di 7 operai) l’azienda avesse deciso di diminuire notevolmente gli investimenti sulla sicurezza presso la linea di produzione dello stabilimento poi coinvolta nel sinistro, la quale era destinata allo smontaggio per essere trasferita altrove. Il fatto che l’evento fosse stato scatenato da un accumulo di carta e sporcizia alla base della linea e dal conseguente focolaio così alimentatosi, fondò la contestazione di omicidio volontario ritenendosi che l’incendio, e quindi il flash fire (che peraltro rappresentava uno sviluppo anomalo mai verificatosi prima in quelle condizioni), rappresentassero la conseguenza dell’insicurezza (legata in primis alla mancata pulizia) della linea di lavorazione e, quindi, anelli causali “previsti e accettati” dal datore di lavoro con la – conseguente – verificazione dell’evento che portò alla morte degli operai.
Così ebbero ad esprimersi le Sezioni Unite: “Nella colpa si è in presenza del malgoverno di un rischio, della mancata adozione di cautele doverose idonee a evitare le conseguenze di inadeguatezza rispetto al dovere precauzionale anche quando la condotta illecita sia connotata da irragionevolezza, spregiudicatezza, disinteresse o altro motivo censurabile. In tale figura manca la direzione della volontà verso l’evento, anche quando è prevista la possibilità che esso si compia (“colpa cosciente”).
Per contro nel dolo si è in presenza di organizzazione della condotta che coinvolge, non solo sul piano rappresentativo, ma anche volitivo, la verificazione del fatto di reato. In particolare, nel “dolo eventuale”, che costituisce la figura di margine della fattispecie dolosa, un atteggiamento interiore assimilabile alla volizione dell’evento e quindi rimproverabile, si configura solo se l’agente prevede chiaramente la concreta, significativa possibilità di verificazione dell’evento e, ciò nonostante, si determina ad agire, aderendo ad esso, per il caso in cui si verifichi. Occorre la rigorosa dimostrazione che l’agente si sia confrontato con la specifica categoria di evento che si è verificata nella fattispecie concreta”.
L’evoluzione del rapporto tra colpa cosciente e dolo eventuale
Nel solco di quel basilare insegnamento si è progressivamente consolidato un orientamento che in modo sempre più chiaro ha decifrato il sottile crinale tra dolo eventuale e colpa cosciente.
“L’elemento caratterizzante il dolo in tutte le sue forme” è “quello volitivo, ossia la finalizzazione dell’agire umano a un determinato evento prefigurato dal reo. Nel dolo eventuale, quindi, non si può rinunciare ad una connessione psicologica tra la condotta e lo specifico evento causato, il quale implica non la semplice accettazione di una situazione rischiosa, bensì di una definita conseguenza antigiuridica. Il dolo eventuale, quale atteggiamento psicologico dell’agente, non si identifica dunque con l’accettazione del rischio della produzione dell’evento, in quanto tenere una condotta incauta, pur con la consapevolezza della situazione di rischio, è tipico della colpa. L’art. 43 del Codice penale infatti, richiede una ineludibile relazione tra la volontà e la causazione dell’evento, che difetta nella mera accettazione del rischio: ciò che rileva, per il dolo eventuale, è che la condotta dell’agente sia frutto di una consapevole adesione all’evento” (Cass. pen. Sez. V, 23/2/2021, n. 15463).
Il dolo eventuale ricorre quando l’agente si sia chiaramente rappresentato la significativa possibilità di verificazione dell’evento concreto e specifico “e, ciò nonostante, si sia determinato ad agire comunque, anche a costo di causare l’evento lesivo, aderendo a esso, per il caso in cui si verifichi” (Cass. pen. Sez. I, 13/12/2017, n. 21732).
Con specifico riferimento alla casistica degli eventi lesivi connessi alla circolazione stradale la Corte ha affermato con chiarezza che “occorre rifuggire dalla tendenza a ricondurre nel fuoco del dolo ogni comportamento improntato a grave azzardo, quasi che la distinzione tra dolo e colpa fosse basata su un dato “quantitativo” correlato alla maggiore o minore sconsideratezza alla guida, dovendo invece detta distinzione basarsi essenzialmente su un accurato esame delle specificità del caso concreto, attraverso il quale pervenire al dato differenziale di fondo, ossia l’attribuibilità o meno al soggetto attivo di un atteggiamento di volizione dell’evento lesivo o mortale” (Cass. pen. Sez. IV, 8/3/2018, n. 14663).
Non è sul dato quantitativo della gravità della condotta, cioè sulla misura della sua difformità rispetto al comportamento preteso dall’ordinamento, che possa essere semplicisticamente ricercata la radice del dolo eventuale.
È altresì vero, tuttavia, che all’aumentare della gravità della condotta aumenta la sua attitudine alla verificazione di eventi lesivi. Pertanto, nella misura in cui il soggetto, lucidamente consapevole di ciò che sta facendo, e quindi anche delle naturali conseguenze che da tale scelta possano derivare, persista nel proprio agire, specularmente ‘metterà in conto’ in modo progressivamente più chiaro e delineato l’imminente accadimento dello specifico evento infausto che rappresenta, in una escalation di questo tipo, una sorta di ‘finale già scritto’.
È quindi pacifico si debba prescindere da automatismi basati sulla gravità della condotta (o sua “sconsideratezza”, per usare la formula adottata dalla Corte) ovvero sulla astratta “accettazione del rischio”, ma è altrettanto vero che la ‘misura’ della gravità della condotta e la sua ‘durata’, cioè la sua reiterazione nell’ambito di una stessa azione unitaria, rappresentano altrettanti elementi fortemente indiziari di un atteggiamento soggettivo orientato verso l’accettazione e volizione dell’evento lesivo conseguenza diretta e naturale di quella condotta.
Se un soggetto, ipotizziamo un ex pilota professionista, viaggia in centro città senza rispettare le precedenze né i semafori, nei primi mille metri la sua sconfinata fiducia nella abilità di guida di cui è portatore può anche autorizzarlo a pensare che riuscirà ad evitare un incidente e le lesioni ai terzi che ne deriveranno. Ma al quinto km e al decimo incidente scongiurato con abili manovre (accompagnate da una buona dose di fortuna) tale atteggiamento soggettivo necessariamente deve essere messo in discussione, in primis dallo stesso agente: infatti, continuando a porre in essere una simile condotta, non è dubitabile che uno scontro si stia per verificare e si verificherà.
In tal caso (volutamente estremizzato ma, come tutti gli esempi estremi, utile per saggiare la tenuta di un principio), benché il soggetto abbia agito non certo allo scopo di cagionare lesioni a terzi, bensì ad altro scopo (ipotizziamo al fine di recuperare il ritardo perduto, magari per raggiungere il luogo di lavoro per un importantissimo appuntamento), oltre che con la convinzione di essere in grado di evitare incidenti, l’intrinseca gravità e pericolosità della sua condotta (fisiologicamente portatrice dello specifico fattore di rischio-incidente) e la reiterazione della stessa costituiranno altrettanti indici idonei a mettere in discussione un atteggiamento soggettivo che ha solo l’apparenza della colpa con previsione (assistita da specifica contro-rappresentazione dell’evento, ovvero dalla convinzione di essere così abile alla guida da poter evitare la collisione) ma che in realtà ha tutta la sostanza della ”consapevole adesione” (Cass. pen. Sez. V, 23/2/2021, n. 15463) ad uno specifico evento (sinistro stradale) che con probabilità prossima alla certezza andrà a manifestarsi proprio a causa dell’intrinseca gravità e pericolosità della condotta e del suo perdurare.
Conclusivamente, tornando alla singolare vicenda che ha dato spunto a questa breve analisi (Cass. pen. Sez. V, 19/7/2021, n. 1764), sulla base dei principi sopra esposti e delle informazioni ricavabili dalla sentenza, può dubitarsi che la maestra avesse aderito consapevolmente all’eventuale ‘fuga’ del giovanissimo allievo e, cionondimeno, avesse deciso di continuare a non presidiare l’uscita ‘a costo’ della verificazione dell’evento.
dell’Avv. Gian Maria Mosca; avvocato del Foro di Torino